“Laboratorio sul consenso alla criminalità organizzata e sulle alternative non violente (II)”

Una villa a tre piani, un grande giardino e un bunker. Sulle colline di Croce Valanidi, tra verdi ulivi, il Museo della ndrangheta è più che un luogo di cultura, più che un centro studi. Un edificio confiscato a una cosca della ndrangheta, è diventato un luogo di nonviolenza, un segno di speranza per tutta la comunità. Tre operatori e collaboratori del Museo ne hanno parlato ai corsisti dell’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”. Grazia Gatto – criminologa e responsabile dei rapporti con le scuole -, Simone Squillace – imprenditore e responsabile dei laboratori musicali – e Francesco Creazzo – giornalista e musicista della band Kalafro che collabora con il Museo – hanno testimoniato il loro impegno nel progetto culturale del Museo.

«Strutturalmente – ha precisato la dott.ssa Gatto – il Museo si articola su tre piani: al primo ci sono percorsi multimediali di conoscenza, grazie a cui il visitatore può seguire virtualmente le operazioni dei carabinieri; al secondo piano si trovano i laboratori teatrali e musicali e all’ultimo “la stanza delle vittime”. Qui grazie a un videoproiettore si possono leggere sul muro i nomi delle persone uccise o scomparse a causa della ndrangheta, mentre sul pavimento si proiettano le date di morte. Si è persino ricostruito il bunker a partire dalle foto ritrovate». Tutte le attività che si svolgono al Museo mirano a coinvolgere gli utenti di ogni età e a far prendere consapevolezza del fenomeno.

Tra quelle didattiche, che coinvolgono i ragazzi delle scuole, rientrano i laboratori musicali di cui Simone Squillace è l’ideatore e il curatore. In realtà l’impegno sociale di Squillace si era già concretizzato nel gruppo musicale dei Kalafro, da anni coinvolto in percorsi musicali che affrontano temi di stretta attualità. L’ultimo disco dedicato alla Calabria tratta argomenti quali la cattiva politica, le promesse delle grandi opere, la rivolta di Rosarno, e ha trovato la collaborazione del Museo della ndrangheta. «Il Museo – ha spiegato – ha abbracciato il nostro progetto e ci ha portato a conoscenza dei canti di malavita, a cui abbiamo risposto con un percorso di contrasto musicale alla ndrangheta. Il Museo non solo ha finanziato l’ultimo nostro disco, ma ci ha messo a disposizione un’autovettura confiscata alla mafia, con la quale abbiamo iniziato il tour in giro per l’Italia, suscitando grande interesse. In seguito abbiamo intrapreso lo studio dei canti di malavita, brani musicali i cui testi sono una lode all’”onorata società” e ai suoi valori distorti. Purtroppo questi canti sono molto diffusi all’estero, e molti giovani si affollano ad ascoltare i concerti delle band che li interpretano e portano in tutto il mondo un’immagine deformata della nostra terra. Così abbiamo pensato di avvicinare i ragazzi delle scuole per progettare insieme e produrre dei “contro-canti”, cioè delle canzoni che inneggiano a valori positivi e si oppongono alla malavita. Qualche esempio: i ragazzi di Siderno hanno scritto interamente una canzone di cui è prossima la pubblicazione. Mentre insieme ai ragazzi della scuola media Gebbione abbiamo prodotto un dvd realizzato all’interno di un PON sulla legalità. Nel videoclip conclusivo del loro lavoro si è inserito un nostro brano, una tarantella modernizzata dal contenuto anti ndrangheta. Il PON dei ragazzi è arrivato primo a un concorso nazionale, e con nostra grande gioia il loro video è stato trasmesso dalle emittenti nazionali».

I progetti didattici non sono l’unico terreno su cui si muovono i Kalafro, come ha spiegato Francesco Creazzo, compositore musicale della band. «Lo scorso anno abbiamo realizzato il progetto Luna, una sorta di “operazione di guerriglia”, un esempio di comunicazione nuova. Per qualche giorno sui muri del Castello Aragonese è stata proiettata a caratteri cubitali la scritta “No alla ndrangheta”, firmato Kalafro. È stata una campagna comunicativa di grande impatto, che, nonostante il messaggio fosse a maglie larghe, ha funzionato bene. Questo è un esempio che sintetizza il concetto di comunicazione sociale e di battaglia nonviolenta attraverso la comunicazione. Il cui obiettivo principale è aprire nuove categorie, nuove vie e modi di pensare nella società. Sul terreno della lotta alla ndrangheta molto si è fatto grazie ad azioni comunicative incisive. Ma molto si può fare, coinvolgendo tutta la società civile in questa battaglia, attraverso un linguaggio semplice e diretto. Spesso le campagne di comunicazione antimafia – pur intellettualmente stimolanti – sono autoreferenziali perché solo chi ha una certa cultura e competenze specifiche può capire. La sfida della comunicazione è invece rendere questi temi intellegibili a tutti, non usando astrazioni ma incidendo con linguaggio semplice nella vita delle persone. Solo così si può sviluppare una coscienza civile, senza essere buonisti o servili, perché la nonviolenza non si identifica col buonismo o l’accettazione bensì significa combattere senza usare i pugni».

 

Vittoria Modafferi