La formazione del laico. Coscienza e responsabilità

In un mondo che sembra aver smarrito le motivazioni del vivere, vale ancora la pena offrire una
testimonianza da laici? E se sì, in quali spazi si può inserire, quali azioni deve compiere il laicato cattolico che vuole impegnarsi nella società e nella politica?

Su questi argomenti si è incentrata la riflessione di padre Francesco Occhetta s. j. – redattore de “La Civiltà Cattolica” – durante il seminario di studi su “La formazione del laico. Coscienza e responsabilità” organizzato dall’Istituto di formazione politico sociale “Mons. A. Lanza”.
L’incontro, a cui hanno aderito i rappresentanti del Terzo settore, delle Aggregazioni laicali, i corsisti del Lanza, nonché alcuni esponenti del clero reggino, è stato un’occasione di ascolto, confronto e di riflessione sulla testimonianza – come ha ricordato nel suo saluto la prof.ssa Francesca Panuccio, direttore dell’Istituto diocesano, – per quanti hanno voglia di crescere e formarsi, per rendere un servizio utile agli altri, in questa nostra realtà territoriale.

Padre Occhetta ha iniziato la sua relazione ricordando che la testimonianza del laico non consiste in cose grandi, bensì in gesti e azioni semplici, che danno qualità e sapore alla vita. Come il lievito che fermenta la pasta. Infatti, la parola del battezzato ha forza solo se attinge da una vita seria di contemplazione, ossia di pratica di preghiera e di discernimento. E il compito dei laici, secondo quanto afferma la Gaudium et Spes, è piuttosto impegnativo: a loro spetta istaurare il dialogo sui grandi problemi del tempo, illuminandoli con la luce del Vangelo.

«Tuttavia – ha sottolineato p. Occhetta – in politica resta una provocazione aperta per la vocazione laicale: la nostra testimonianza non la viviamo in nome della fede – non siamo cioè il partito della Chiesa – bensì a causa della fede. Proprio perché crediamo, attraversiamo il mondo e diciamo certe cose. Gli stessi non credenti devono riconoscerci nella testimonianza che diamo, devono vedere che il nostro valore è a causa della fede. Infatti, se dialogano con noi è perché sperimentano una certa autenticità, mentre se ci rifiutano significa che questa autenticità non filtra, e ci richiama ad un esame di coscienza per capire cosa non funziona. Nostro compito, quindi, è testimoniare i valori in cui crediamo, riattivando, così, la speranza che è l’unica in grado di generare fiducia. Intendendo per speranza il desiderio di camminare, di trovare motivazioni, di sapere che le crisi possono essere attraversate insieme perché abbiamo tutti un unico destino che è rendere umana la vita e darle senso in profondità».
Ma in questi ultimi anni – si è domandato il padre gesuita – cosa è cambiato nel nostro modo di testimoniare, cosa ci ha messo in crisi e ci ha snaturato? «Innanzi tutto è mutato un dato antropologico: oggi, con l’avvento della globalizzazione, invece del cammino da percorrere, si effettua una navigazione in una barca. E questa è molto più complicata: se manca la bussola della vita interiore profondamente vissuta che indica il nord, ci si può facilmente smarrire o affondare. C’è stata poi una disfunzione etica ed antropologica del nostro quadro di valori. La religione è diventata quella del consumo e la gente celebra la vita in luoghi non tradizionali: la domenica, per es., è celebrata nei centri commerciali attraverso una liturgia di musiche, profumi. Le stesse chiese, specie al Nord Italia, sono quasi vuote se manca una comunità cristiana viva che le anima, che coinvolge la gente e offre ragioni di speranza.
I cristiani – ha proseguito p. Occhetta – più che pasta sono lievito, e ciò comporta una fatica in più,
perché devono difendere come minoranza una serie di ragioni ed argomentazioni. Inoltre nello spazio pubblico ci viene detto che la nostra fede deve essere vissuta nel privato, che i nostri valori non interessano perché la società è laica.

A ciò si aggiunge una sorta di “bipolarismo ecclesiale”, nato in epoca di bipolarismo politico, che ha diviso le comunità: questo fenomeno ha comportato che nelle parrocchie non si può parlare di politica e chi si impegna appena un po’ è escluso. Si capisce che questo non va bene! Pensiamo a quale contributo hanno dato i cattolici alla nascita della Costituzione».

Un ulteriore elemento di criticità è rappresentato dalla crisi della democrazia rappresentativa e dalla
nascita della “democrazia liquida”. «Quest’ultima ha dei pericoli, fra cui la volontà di eliminare gli enti intermedi. Essa cioè vuole interloquire solo con il cittadino, saltando l’intermediazione della famiglia, dei partiti, sindacati, associazioni, ONG, ecc. Cioè di tutti quegli enti grazie ai quali l’uomo entra nella vita sociale, e ne esce persona, ovvero “essere in relazione”, e quindi trasformato, cambiato. I fedeli laici, devono riattivare questo tipo di vita sociale, cercando anche di difendere la democrazia – che non è solo procedura bensì valore – e i suoi principi costituzionali, specialmente quelli che ineriscono la dignità dell’uomo». Con quali strumenti e in che modo si può far progredire il nostro Paese? «Con i mezzi offerti dalla democrazia diretta, come il controllo di chi ci governa, le proposte di legge, gli strumenti di iniziativa popolare, e il seme della cultura che germoglia e cresce senza protagonismo.

Proporre un nuovo tipo di democrazia – ha precisato p. Occhetta – non significa essere un partito, perché ricrearci come forza politica significherebbe dividerci ulteriormente. Come Chiesa, invece, dobbiamo costituire una stagione pre-politica, stare nell’anticamera della politica e sollecitarla al nostro disegno di società, proporre ciò che vorremmo con il disegno legge, chiedere conto ai politici di cosa pensano. Quindi, non dobbiamo entrare nello spazio politico, perché lì rischiamo di dividerci sulle scelte tecniche, ma stare un passo indietro, vedere come si forma quella scelta, quali valori ci sono in gioco e le conseguenze che provoca sulla società. Piuttosto che pensare a costituire alleanze, a contrattare voti, dobbiamo stare dentro la società e lì rivendicare le posizioni forti che la Chiesa dice sui grandi temi. Non possiamo rinunciare ai principi grandi che la Parola di Dio e la tradizione della Chiesa ci dicono su un dato argomento. Bisogna quindi tenere alto l’ideale e poi nello spazio politico si può anche mediare per farlo diventare legge.
È chiaro dunque che i laici che si vogliono impegnare devono costruire una strada, di medio periodo, in cui la formazione carica di spiritualità è fondamentale. Come fondamentale è il recupero della casistica, cioè la lettura del caso concreto e del contesto per capire quali sono i principi in gioco. Solo così si potranno fare le proposte, cercare una soluzione tecnica al problema e verificarla per valutare come è andata l’esperienza. E nel caso in cui si sia sbagliato chiedere perdono».

Vittoria Modafferi