La “non violenza”: la testimonianza di Aldo Capitini e la speranza di un “carcere diverso”

Proseguono gli incontri settimanali dell’Istituto superiore di formazione politico-sociale Mons. Antonio Lanza, che quest’anno sociale hanno come filo conduttore il tema della “nonviolenza”.

Non a caso il 17 novembre il dott. Vincenzo Musolino, vice direttore dell’Istituto, ha presentato la figura del pensatore Aldo Capitini, pacifista del secolo scorso che ebbe Gandhi tra i suoi ispiratori.

Capitini apprezzò molto Don Milani e fu anch’egli sostenitore dell’obiezione di coscienza (al servizio militare) e della disobbedienza civile, intesa quest’ultima come tecnica collettiva di lotta politica contro leggi ingiuste o contro uno Stato che opprime.

Teorizzò inoltre una religione “aperta”, non istituzionalizzata ma inclusiva.

Nel libro del 1966, “La compresenza dei morti e dei viventi”, scrisse che tutti devono impegnarsi e collaborare, anche le persone più deboli e sofferenti, che non devono essere escluse perché contribuiscono alla realizzazione di valori comuni: tutti aggiungono un mattone nella costruzione della casa sociale, compresi i non più viventi.

Quest’idea di amore aperto a tutti riecheggia oggi nelle Encicliche di Papa Francesco, in particolare nella “Fratelli tutti”.

Il 18 novembre, poi, sono intervenuti, assieme alla presidente Rita Bernardini, alcuni attivisti dell’Associazione Nessuno Tocchi Caino, dando vita ad un dibattito molto partecipato sulla situazione delle carceri italiane.

L’esponente del partito radicale, dopo aver ricordato l’ultima battaglia di Marco Pannella sul diritto alla conoscenza, ha rimarcato come proprio il tema delle carceri sia difficilmente approfondito dai canali di informazione pubblica, nonostante l’elevato e crescente numero di suicidi registrati nell’anno in corso all’interno degli Istituti penitenziari italiani: già più di 70.

Gli attivisti visitano periodicamente le carceri italiane per verificare le condizioni di detenzione e negli ultimi anni hanno presentato numerosi ricorsi alla Corte Europea per violazione dell’art. 3 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo che proibisce la tortura e il trattamento disumano o degradante.

Dal dibattito è emerso che ancora oggi alcune norme dell’ordinamento penitenziario italiano non sono mai state attuate e il carcere – dove le persone private della libertà personale dovrebbero essere rieducate (art. 27 Cost.) – purtroppo resta invece un ambiente ad alto rischio “criminogeno”: il sovraffollamento è eccessivo, si perpetrano soprusi, la percentuale di persone che studia e lavora è minima, mancano gli educatori e i mediatori culturali per assistere gli incarcerati stranieri, l’assistenza medica e psichiatrica non è adeguata e sono troppi i detenuti in attesa di giudizio.

In alcuni istituti di pena sono stati attivati dei laboratori artigianali, ma è ancora troppo poco: urge una riforma complessiva.

Tra i presenti sono intervenuti il dott. Giuliano Quattrone, già educatore nelle carceri ed ora direttore della testata online Nessuno Escluso Mai, e la garante dei detenuti reggina, Giovanna Russo, la quale ritiene indispensabile la collaborazione tra le istituzioni piuttosto che la spettacolarizzazione dei problemi.

Più volte Papa Francesco è intervenuto pubblicamente non solo per invocare il fermo rifiuto della pena di morte nel mondo, ma anche per il miglioramento delle condizioni carcerarie (n. 268 della Fratelli tutti).

Stefania Giordano