L’Economia di Comunione: per un uso intelligente e solidale del profitto

Venerdì 13 novembre, la Dott.ssa Amelia Stellino, referente di “Economia di Comunione” e consulente Università Mediterranea di Reggio Calabria, ha tenuto una lezione all’Istituto di Formazione Politico-Sociale “Mons. A. Lanza” dell’Arcidiocesi. Di seguito una breve sintesi.

 

Stellino 2

 

Siamo tutti ormai consapevoli come viviamo in un mondo profondamente ingiusto basato su asimmetrie economiche che creano disuguaglianza sempre più marcate fra, e nei, vari Paesi. Se a questo aggiungiamo anche il peso della crisi economica di questi ultimi anni, ci rendiamo conto che dobbiamo rivedere i processi economici in termini di sostenibilità e biodiversità economica e che abbiamo bisogno di “occhi nuovi” per vedere qualcosa in più, per puntare ad un’economia che non si riduca solo a interesse privato, ma che parli di bene con-diviso e quindi di Bene Comune. Un’economia, in altre parole, che smetta di basarsi sull’avere e che punti all’essere, dunque anche alla cultura del dare e del dono. Pertanto credo che sia assolutamente arrivato il momento storico per cambiare direzione ed iniziare a parlare di crisi, disoccupazione, precarietà, immigrazione, rivedendo i processi che possano determinare qualità sociale, centralità della persona, percorsi di speranza, di fraternità e di gratuità.

In questo senso, la domanda di partenza riguarda la possibilità o meno di “umanizzare l’economia” ed eventualmente se si, quale via percorrere. In prima analisi è più che mai opportuno rivedere in termini economici chi è il povero di oggi perché, utilizzando le parole del prof. Zamagni, possiamo affermare che «… mentre ieri povero era chi non poteva accedere a livelli decenti di consumo, oggi povero è soprattutto chi viene lasciato fuori dai circuiti di produzione della ricchezza, e quindi viene costretto all’irrilevanza economica». Per superare l’empasse della irrilevanza economica, bisogna avviare processi economici generativi che sappiano coltivare l’etica della giustizia e l’attenzione al sociale, e quindi puntino ad un’economia del con-diviso che guardi alla persona prima fra tutti come un fratello.

È questa la grande sfida proposta dal progetto di Economia di Comunione (EdC), nato in Brasile 25 anni fa da un’intuizione di Chiara Lubich, fondatrice del Movimento dei Focolari, che ha come obiettivo strategico la centralità della persona nel mondo del lavoro, e che chiede alle imprese, sia profit che no-profit, che aderiscono a tale progetto, di porsi all’interno del mercato con una logica in cui obiettivo ultimo non è il lavoro fine a se stesso e la speculazione finanziaria, ma il Bene Comune come reale opportunità per il ben-essere di ciascuno e di tutti. La novità proposta dall’Economia di Comunione è riuscire a mettere in atto azioni di gratuità in campo economico, gratuità che deve essere intesa – così dice il prof. Bruni coordinatore della Commissione Internazionale EdC – come «quell’atteggiamento interiore che porta ad accostarsi ad ogni persona, ad ogni essere, a se stessi, sapendo che quella persona, quell’essere vivente, quell’attività, me stesso, non sono “cose” da usare, ma realtà da rispettare e amare in sé perché hanno un valore che accolgo e rispetto perché lo riconosco come buono».

Quindi, gli imprenditori che applicano i principi dell’ Economia di Comunione non producono solo ricchezze finanziarie, ma benessere sociale perché sono capaci di dare, primo fra tutti, relazioni gratuite, incontri liberi e non gerarchici con gli altri, vera stima con chi si lavora, riconoscimenti e gratitudine sincera.

Al progetto EdC aderiscono imprenditori da tutte le parti del mondo, che ritengono prioritario occuparsi dei più bisognosi non solo in termini di assistenzialismo economico, ma in termini di inclusione sociale, essenzialmente attraverso la creazione di nuovi posti di lavoro per inserire nel contesto sociale coloro che ne sono ai margini. Di conseguenza le imprese EdC condividono i propri utili oltre che per le necessità delle proprie aziende e per la formazione nel campo dell’economia sostenibile dei propri dipendenti, anche per le necessità più urgenti degli indigenti (casa, cure mediche, cibo, ecc.) e per avviare start up imprenditoriali. Questo permette di orientare e sviluppare, nei vari territori locali, capitali sociali più armonici rispetto al gap economico-finanziario e di conseguenza anche di determinare valore aggiunto sia in termini culturali che di integrazione rispetto alle fasce sociali più deboli.

Con queste fondamenta possiamo dire che può esistere un’etica del mercato fatta per l’appunto di gesti concreti di fratellanza e rapporti di reciprocità, che custodiscono la speranza per il domani perché hanno occhi diversi per vedere in che direzione lo sviluppo crea opportunità, valore e autentico benessere.

Amelia Stellino