L’esplorazione dei conflitti come pratica di partecipazione nelle organizzazioni – II

Sei cappelli per pensare”. Non è soltanto il titolo di un libro di Edward De Bono ma anche una tecnica in sei passaggi per gestire al meglio situazioni conflittuali o problematiche. La prassi individuata dal medico maltese, padre del “pensiero laterale” – ovvero della capacità di essere creativi e innovativi – è stata spiegata all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza” da Tiziana Tarsia – sociologa dell’Università di Messina.

De Bono – ha esordito la docente – sostiene che quando, a livello personale o di gruppo, si deve gestire una situazione problematica o prendere decisioni, è opportuno scindere i diversi passaggi per affrontare e valutare il caso da molteplici punti di vista. Senza questa modalità, infatti, si rischia di fare confusione e se si lavora in gruppo può succedere che i componenti non esprimano la propria opinione, per diverse ragioni, e assumano un comportamento passivo non partecipando alla decisione. In questo modo, però, si finirà per limitare la capacità generativa del gruppo stesso. Quindi, sarà conveniente distinguere vari livelli nell’analisi del problema o nella prassi decisionale, seguendo dei passaggi precisi.

De Bono parla di “sei cappelli” da indossare, ovvero di sei differenti passaggi da seguire, ognuno dei quali rappresenta un modo di stare nel gruppo e di partecipare alla decisione, per mettere ordine e riuscire nell’impresa. Il primo cappello da indossare è quello bianco: il colore indica la razionalità. Indossandolo, non si fa altro che parlare di fatti, non di opinioni, di eventi concreti e oggettivi che si conoscono perché in qualche modo sono auto evidenti. In questa fase si raccolgono i dati, le informazioni sul caso che si sta analizzando. È importante portare le prove di ciò che si sta affermando, per renderlo chiaro.

Il secondo cappello è di colore rosso: in questa fase entra in gioco l’emotività. Non si parla di fatti bensì di emozioni: si fa emergere nel gruppo il proprio stato d’animo rispetto a quella data situazione o a ciò che gli altri hanno affermato o fatto. Ovviamente questo passaggio non è l’altoparlante delle emozioni complessive di ciascuno, perché è sempre necessario collegare ciò che succede nel contesto collettivo con quello che suscita in ognuno. Durante questo passaggio potranno emergere delle utili intuizioni, che sono il frutto dell’emozione.

Il cappello rosso, in sostanza, servirà a dare coscienza del fatto che decidere è sempre una questione emotiva, è qualcosa che non ci lascia mai indifferenti ma ci coinvolge, in positivo o in negativo.

Il cappello nero, invece, ricorda il pessimismo. Ciascun componente deve riferire cosa, secondo lui, non funziona o non funzionerebbe in ciò che si sta facendo, cosa porterebbe a far morire l’idea che si sta progettando nel gruppo. Indossando tale cappello, si iniziano le frasi dicendo: “c’è il rischio che se facciamo questo, può accadere la tal cosa”. L’importante è esprimere le proprie perplessità prima di decidere; il cappello, infatti, va indossato durante il percorso perché le persone nel processo sono più disponibili a rimodulare le idee mentre è più difficile convincerle a rimettere tutto in discussione al termine del lavoro.

Il cappello giallo, il quarto, indica l’ottimismo perché in questa fase ci si sforza di dare valutazioni positive, ponendo l’accento sulle opportunità che nascono da ciò che si sta progettando e dalla decisione che si prenderà. Tale livello chiede di spiegare – non più sul piano emotivo e percettivo – perché l’idea potrebbe funzionare. Così si arriva ad un grado di consapevolezza di gruppo maggiore di quello che si aveva all’inizio del percorso.

Il penultimo cappello è il verde, indicante la creatività. In questa fase emerge la possibilità di dire e di esplorare tutte le opportunità che vengono in mente e di essere persino “provocatori” cioè di proporre idee che sembrano impossibili e inimmaginabili. Infatti, esporre tutto ciò che si pensa è positivo e anche generativo, e non richiede alcuna autolimitazione.

Infine, il cappello blu indica il controllo. È un cappello trasversale, nel senso che dovrebbe essere messo e tolto di continuo, durante il processo per garantirne il controllo. Ogni componente del gruppo, infatti, dovrebbe attenersi alle regole e indossare il cappello appropriato ad ogni fase, ma se per ipotesi se ne dimenticasse indossandone un altro, gli altri lo dovrebbero riportare alle regole.

Questo cappello è il filo conduttore di tutto il procedimento, e aiuta ad avere capacità progettuale e di programmazione, che è poi l’obiettivo del processo stesso. Il fine da raggiungere, infatti, si ottiene riuscendo ad esplorare un conflitto o una situazione problematica e facendo un’analisi appropriata.

Tutti questi passaggi individuati da De Bono sono indispensabili per proporre un’idea che non sia frutto di una percezione singola o collettiva, ma piuttosto una soluzione fondata su elementi sia soggettivi che oggettivi.  In fondo il “pensiero laterale” non è altro che il pensiero creativo, la capacità di essere innovativi e di esplorare le diverse possibilità in relazione a proprie scelte o a problemi. Capacità  che permette di adattarsi ai contesti senza subirli, ma piuttosto agendoli. E la tecnica dei sei cappelli sembra uno strumento davvero impareggiabile.

Vittoria Modafferi