Annunciare il Vangelo sotto forma di brevi pensieri, attraverso le reti telematiche, è un modo ormai consueto di offrire questo servizio. Lo stesso Papa Francesco utilizza i nuovi mezzi di comunicazione con grande efficacia. La sua pagina Twitter che accoglie i messaggi, concisi ma di impatto immediato, lanciati per invitare alla riflessione, conta milioni di followers.
I “cinguettii” del Papa, oltre che essere oggetto di un libro–raccolta edito lo scorso settembre, sono stati l’argomento di una lezione della prof.ssa Francesca Panuccio all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”, di cui è direttore.
La docente ha sottolineato che da molto tempo diversi sacerdoti raccolgono le omelie domenicali e poi le trasmettono in rete; lo stesso avviene delle meditazioni quotidiane del Vangelo che possono essere lette su Facebook dai tanti utenti iscritti al social network. Questo è certamente un buon uso della rete, un utilizzo fecondo dei mass media. Ma è altrettanto innegabile che internet possa nascondere delle insidie o quanto meno degli aspetti controversi.
Con riferimento alle piattaforme sociali – ha spiegato la Panuccio – nasce spesso il problema della circolazione di dati personali senza il consenso dell’utente. La rete, infatti, ha dei software così sofisticati capaci di realizzare operazioni che vanno al di là della volontà dell’utente. Questi programmi acquisiscono e adoperano i dati personali che sfuggono al controllo del soggetto coinvolto. Spesso, inoltre, gli utenti non sono al corrente che altri utilizzano i loro dati, acquisiti durante la registrazione al social network. E anche quando si procede ad eliminare alcune informazioni, i contenuti generali rimangono nell’archivio dello strumento. Quindi è evidente che in rete si perde un po’ di libertà. Lo stesso Garante della privacy ha preso in seria considerazione questo aspetto, tanto da inserire sul sito un manuale per difendersi dai rischi di Facebook.
In effetti se da un lato il web offre una assoluta libertà – ha proseguito la Panuccio – dall’altro ci sottopone ad un totale controllo. Basti pensare che Facebook diventa proprietario dei dati forniti dagli utenti all’atto dell’iscrizione. Tuttavia, le reti sono una occasione e lasciano aperte delle interpretazioni. Una delle più comuni afferma che la gente cambia, e, di conseguenza, bisogna esserci dove le persone sono tra loro connesse. L’uomo oggi è definito come un “nodo” di connessioni di rete, che, di fronte al dilagare e alla forza delle nuove tecnologie, si sente spesso impotente. Anche i documenti della dottrina sociale della Chiesa affrontano questa problematica e constatano che a volte la stessa Chiesa è lontana dalla gente e soprattutto dai giovani: di qui la necessità di sfruttare le connessioni per avvicinarsi. Anche Papa Francesco sta utilizzando la rete, in continuità con i suoi predecessori. Da buon comunicatore, capace di trasmettere in maniera chiara la Parola di Dio e il Magistero della Chiesa, il Santo Padre annuncia il Vangelo anche attraverso i messaggi lanciati via Twitter. I tweet del Santo Padre sono brevi e semplici frasi dall’impatto immediato. Se portati dentro, se meditati durante il giorno, essi hanno facile presa nel cuore e nella mente di chi li legge.
I contenuti dei messaggi sono svariati, ma l’obiettivo comune è l’invito costante alla riflessione. In effetti – ha affermato la Panuccio – il diffuso desiderio di comunicare, tipico della nostra epoca, non può essere trascurato. Così come non si possono ignorare i nuovi strumenti di comunicazione, in largo uso soprattutto tra i giovani: un esempio è l’sms, uno strumento snello e immediato che suscita un messaggio di risposta. Ebbene, anche i tweet del Pontefice rientrano in queste forme di comunicazione dinamiche e interattive che non rinunciano però a stimolare la meditazione.
Padre Antonio Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica, ha collegato l’attitudine alla comunicazione tipica di Bergoglio con la sua umiltà. «Per il Papa essere umili significa avvicinarsi bene agli altri. E siccome lui vuole che la Chiesa sia vicina alle persone lì dove esse si trovano, per fare questo esce per la strada. Tra le vie che percorre ci sono quelle digitali».
Il Pontefice si è sempre dimostrato attento alla dimensione dei new media, e nel recente incontro con gli operatori della Rai ha esortato ad «un rinnovato senso di responsabilità per l’oggi e per il domani», ricordando il ruolo dell’azienda che produce cultura e formazione, raggiungendo milioni di persone. Il Papa, inoltre, ha invitato a tenere alto il livello etico della comunicazione, rammentando che la qualità etica dell’informazione «è frutto di coscienze attente, non superficiali, sempre rispettose delle persone, sia di quelle che sono oggetto di informazione, sia dei destinatari del messaggio».
Ma già in qualità di Arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio aveva preparato una relazione sul ruolo del comunicatore e sul contributo sociale di questa professione. In quell’occasione aveva parlato della «buona prossimità» dei media, della loro «capacità di avvicinarsi e influire nella vita delle persone con uno stesso linguaggio globalizzato e simultaneo». La buona prossimità, quindi, è quella che trasmette una informazione vera, che comunica «l’integrità di una realtà in maniera armonica e con chiarezza». Diversamente però, ammoniva Bergoglio, «quando le immagini e le informazioni hanno come unico scopo quello di indurre al consumo o manipolare le persone per approfittarsi di esse, siamo di fronte ad un assalto, ad un golpe». Approssimarsi bene implica quindi «dare testimonianza»: «contro l’apparente neutralità dei media, solo colui che comunica mettendo in gioco la propria etica e dando testimonianza della verità è affidabile per approssimarsi bene alla realtà. La testimonianza personale del comunicatore sta alla base della sua affidabilità».
Il futuro Pontefice concludeva con una «doppia sfida» per i comunicatori cristiani. Da una parte, «conoscere, sentire e gustare la bellezza dell’amore di Dio», attraverso l’incontro personale con Gesù Cristo, che illumina «il discernimento della bellezza dei valori, di fronte all’immagine vuota di una certa cosmesi tecnologica». L’altra sfida è quella di condividere questa bellezza con una «vocazione così specifica» che richiede «molta formazione e vera professionalità per un uso competente della tecnologia e dei mezzi di comunicazione».
Vittoria Modafferi