«Mandela, esempio contro il sovranismo di oggi»

L’ 11 febbraio ricorre l’anniversario della scarcerazione – dopo ben 27 anni di carcere ingiusto per la sua lotta contro l’apartheid – di Nelson Mandela. Questi – premio Nobel per la pace (1993) e Presidente, il primo di colore, del Sudafrica – da cristiano e convinto non violento scelse di non vendicarsi, perdonando i suoi aguzzini.

Mandela è, tuttora, uno dei simboli mondiali più significativi di accoglienza, apertura alla diversità, solidarietà, sostegno ai più deboli, lotta al razzismo.

Resta un simbolo di permanente attualità, ma… nei fatti è dimenticato.

Sembra che dalla sua morte non siano passati solo 20 anni (1999–2019), ma un secolo. Tutto, o quasi, è cambiato.

Il metodo della “non violenza”, l’idea dell’amore del diverso/ lontano, la scommessa sulla fecondità della contaminazione etnico–culturale: sono principi che sembrano lontani anni luce dall’attuale clima culturale e sociale, in Italia, in Europa, è un po’ in tutto il mondo, dove invece imperano chiusura auto– referenziale, populismo sovranista, xenofobia, razzismo, indifferenza alla sofferenza degli «altri».

Necessariamente semplificando, le due “antropologie” di fondo nella fase storica passata erano entrambe “mondialiste”: quella cristiana (specialmente cattolica, ossia «universale ») e quella comunista (nella formula marxiana: «proletari di tutti i Paesi, unitevi»).

Oggi, l’idea che si possa essere, e sentire, tutti fratelli (in quanto figli di Dio) e/o compagni (in quanto uniti nella lotta contro l’ingiustizia sociale) è considerata, nella migliore delle ipotesi, un’ingenuità, ma più spesso una patetica e obsoleta follia ideologica.

Persino Papa Francesco – proprio per il suo continuo appello ad amare i fratelli, quale che sia il loro stato e la loro origine, e a lottare in modo non violento per la giustizia – è accusato dentro lo stesso mondo cattolico di farsi portavoce di una pastorale orizzontale, trascurando la dimensione verticale/trascendente della fede.

Come se fosse possibile dimenticare il Vangelo: presumere di amare Dio, senza amare il prossimo!

Qual è il risultato del mutamento culturale ed antropologico in atto?

La ripresa dei protezionismi nazionali, la crisi del processo federale europeo, il crollo progressivo dei servizi di welfare, la chiusura delle frontiere, l’elevazione di muri fra i popoli, la crescita impressionante delle disuguaglianze e della povertà.

I diritti negati in quest’inizio del 2019 sono dunque i diritti “di sempre”, anche se quelli della prima (diritti civili classici: riunione, religione, pensiero, eccetera) e della seconda generazione (diritti politici: voto, organizzazione partitica, e così via), sembrano ormai realizzati, mentre sono ancora tutti in fieri quelli della terza (diritti sociali: istruzione, previdenza, assistenza, lavoro) e della quarta generazione (diritti all’autodeterminazione dei popoli, all’ambiente, all’identità genetica).

Credo si possa dire, dunque, che – nonostante il numero delle Carte dei diritti cresca (della donna, del fanciullo, dell’anziano, del profugo, eccetera) – in realtà il diritto di fondo resta sempre lo stesso: quello, laico ed in astratto universalmente riconosciuto, della “dignità della persona umana”, in tutte le formazioni sociali in cui opera e vive.

Purtroppo il mutamento antropologico mondiale cui si accennava probabilmente sta rimettendo in discussione, se non esplicitamente almeno di fatto, proprio il principio di dignità umana.

Principio che presuppone sempre, di necessità, atteggiamenti etero–centrici ed altruistici. Invece – con poche eccezioni – questo sembra il tempo degli egoismi individualistici, non della carità fraterna.

Prof. Antonino Spadaro

* Ordinario di Diritto Costituzionale UNIRC  e direttore Istituto di formazione politica “Mons. A. Lanza”