“Problematiche sui diritti umani nell’enciclica Caritas in Veritate”

Carità e verità. Un rapporto stretto lega questi due termini. Basti pensare che la carità e la verità sono la vocazione posta da Dio nel cuore e nella mente di ogni uomo. Caritas in veritate, l’ultima enciclica di Papa Benedetto XVI, è stata presentata e spiegata ai corsisti della scuola di formazione politica “Mons. Lanza” da don Domenico Marturano – vicario episcopale per la cultura.

Il documento – ha spiegato don Marturano – è piuttosto complesso e impegnativo. L’enciclica tratta il rapporto tra verità e carità, vera vocazione dell’uomo, la cui base ontologica consiste in un’esigenza di verità e di amore. Tuttavia, solo nella verità risplende la carità, perché la verità è luce che dà senso e valore alla carità; mentre senza verità la carità scivola nel sentimentalismo, l’amore diventa un guscio vuoto da riempire arbitrariamente. La carità – spiega ancora l’enciclica – è l’amore riversato nel cuore dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo, è un dono divino fatto a tutti. Se è accolto come dono che si offre gratuitamente con tutta la sua bellezza, e se diviene una visione del mondo, allora l’amore è rispettoso di tutti, sa contemplare la bellezza in ogni sua espressione e non diviene consumo o possesso. La carità, inoltre, non è mai senza giustizia, intendendo per giustizia la realizzazione di ogni cosa secondo la finalità per cui è fatta. Ogni cosa, infatti, porta in sé un progetto e si realizza in quel progetto; ma se si forza quella realizzazione si compie una violenza e un’ingiustizia. È evidente, dunque, che la giustizia è intimamente legata all’amore: amare qualcuno significa volere il suo bene, desiderare che si realizzi secondo il progetto che porta dentro. La realizzazione personale, a sua volta, è connessa strettamente a una attuazione sociale, perché l’uomo è un essere che si realizza in relazione con gli altri. E quindi l’amore autentico non è personale e individualistico, ma è agape, cioè legame di comunione che si realizza in una relazione.

Oggi, invece, la cultura dominante – ha puntualizzato don Marturano – spinge a pensare che si ama quando si possiede o si consuma. Mentre ciò che è tipicamente umano è l’amore di relazione: si è felici quando si è reso felice un altro. Capire questa verità vuol dire scoprire la sapienza, vero fattore di civiltà. L’amore nella verità è altresì considerato dall’enciclica nella situazione attuale di globalizzazione. Nella globalizzazione – ha ancora chiarito don Marturano – una via d’uscita positiva sarebbe imparare questo rapporto di relazione tra uomini, per conseguire obiettivi di sviluppo che abbiano più umanità e siano più umanizzanti. Ma cos’è realmente lo sviluppo umano? Secondo la dottrina sociale della Chiesa è anzitutto vocazione, è un appello e una tensione a superarsi che l’uomo porta in sé ed esige il rispetto della verità. Si tratta di uno sviluppo integrale, cioè volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo, in cui è centrale la carità. Se, invece, lo sviluppo è considerato solo in un’ottica di profitto, come avviene oggi, si realizzano distorsioni e problemi drammatici, messi ancor più in risalto dall’attuale situazione di crisi.

L’unica legge che al momento domina il mondo è quella del profitto, ma in questa realtà senza regole né misure – dove il rischio è quello di distruggere tutto – continua lo scandalo di disuguaglianze clamorose: mentre aumenta la ricchezza mondiale in termini assoluti, crescono contemporaneamente le disparità. E si intravedono i paradossi di questo sviluppo: da un lato, sovrapproduzione, e dall’altro, milioni di persone affamate. Nel mercato globale nato dalla fine dei blocchi contrapposti, si è affermata la delocalizzazione della produzione e la deregolamentazione del mondo del lavoro. Le imprese producono solo dove la manodopera ha costi molto bassi, sfruttando i tempi e i compensi dei lavoratori. Se a questo fattore aggiungiamo la mancanza di protezione sociale da parte dei sindacati, lo svuotamento parallelo dei partiti di massa, e la riduzione delle reti di sicurezza sociale, il quadro generale è di una grande sofferenza umana. Questa incertezza sociale e lavorativa genera forme di instabilità psicologica, perché saltano le condizioni di speranza e di dignità umana. Inoltre, il tipo di sviluppo che si è affermato non rispetta la vita esistente ma la sfrutta e teorizza il rifiuto della vita esaltandolo come progresso. Ma quando si nega la vita non si trovano più le motivazioni e le energie per adoperarsi allo sviluppo, e mancando le motivazioni l’uomo non ha più speranza. L’apertura alla vita è invece una ricchezza sociale e insieme economica.

Lo sviluppo economico, quindi, se vuol essere veramente umano, ha bisogno di lasciar spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità. Il mercato guidato solo dalla logica del profitto, senza forme di solidarietà e fiducia, non riesce a produrre coesione sociale e non può espletare la propria funzione economica. L’economia, dunque, ha bisogno di un’etica per il suo corretto funzionamento, non può prescindere da una dimensione morale, da una certa solidarietà. Un buon esempio di rapporto tra impresa ed etica è dato da quelle aziende che devolvono una parte di profitto come donazione gratuita, per alcuni ambiti di sviluppo e progetti concreti, realizzando la cosiddetta economia di comunione.

Infine, la crisi – afferma il Pontefice nella Caritas in veritate – può diventare occasione di riflessione e discernimento, in quanto sollecita a una nuova progettualità, a trovare delle soluzioni per arrivare a una nuova civiltà umana.

Vittoria Modafferi