“Tentazione della violenza o sviluppo solidale? La risposta della Populorum Progressio”

Ci sono passaggi critici della storia, in cui la teoria dei “corsi e ricorsi”, sembra di un’evidenza lineare. Ed è proprio in quegli snodi che certe parole profetiche si rivelano attuali anche a distanza di molti anni. Così, la crisi economica degli ultimi anni ‘60, le soluzioni tentate per uscirne, le grandi disuguaglianze mondiali prodotte dal sistema, appaiono simili alla situazione odierna. Fatte, ovviamente, le debite differenze. Mentre il modello proposto in quegli anni dal magistero della Chiesa, per arrivare a uno sviluppo solidale più umano, si rivela di una sconcertante attualità.

Si può riassumere con queste considerazioni la conversazione tenuta da don Domenico Marturano – vicario episcopale per la cultura – alla scuola di formazione politico sociale “Monsignor Lanza”. Il suo intervento si è focalizzato sull’enciclica di Paolo VI “Populorum Progressio”, spaziando però dal contesto politico economico in cui si colloca il documento, a valutazioni sull’attuale situazione di povertà, ingiustizie, crisi della democrazia. Da cui, probabilmente, ci si può sollevare con una resistenza culturale, che metta al centro l’uomo e non l’interesse di parte.

Ricostruendo lo scenario internazionale della seconda metà degli anni ‘60, don Marturano ha ricordato la fine del colonialismo, che aveva suscitato grandi speranze nella nascita di un mondo più giusto, ma che svelò, invece, lo scandalo delle disuguaglianze a livello mondiale. «Il cambiamento epocale – ha spiegato – era l’allargamento dell’ingiustizia. Si iniziò a parlare allora di Terzo e Quarto mondo. La questione sociale non era solo un problema interno alle società, ma si poneva come questione internazionale. Lo sviluppo ineguale, non era più riferito allo sfruttamento delle colonie, ma al meccanismo mondiale del commercio che allargava le disuguaglianze e non provocava sviluppo». Mentre il sistema economico entrava in una crisi di sovrapproduzione, si consolidava il grande capitalismo finanziario, che diventò una vera forza mondiale.

Di fronte a questi scenari, accanto a un diffuso ideale di giustizia da realizzare, l’altro polo della reazione era rappresentato da un’analisi sempre più violenta e anarchica, accompagnata da tentativi rivoluzionari più o meno anarcoidi (vedi i movimenti del Centro e Sud America). In questo contesto si inseriscono l’analisi e la proposta dell’enciclica di Paolo VI, che per la prima volta parla di sviluppo in un documento della Chiesa. A cosa si riferiva il Papa con questo termine?

«Per Paolo VI – spiega don Marturano – lo sviluppo non può essere solo economico, che porterebbe al dominio del denaro. Bisogna tentare, invece, la strada dello sviluppo integrale dell’uomo, cioè di tutto l’uomo e di ogni uomo. È una promozione che riguarda la cultura, che tocca tutti gli aspetti della vita umana, permettendo la piena realizzazione di sé. E per attuare questo modello ideale, il Pontefice traccia le linee operative.

La seconda parte dell’enciclica, infatti, suggerisce il superamento del diritto incondizionato della proprietà privata. In altre parole, è la politica, non la tecnologia, che deve gestire lo sviluppo. La politica può guidare il cammino dell’economia, prima a livello statale  e poi sovranazionale. Come passo successivo, si prevede la possibilità di espropriare un bene per l’utilità sociale, a beneficio di tutti. Questo modo di gestire la politica portò in Italia alle nazionalizzazioni attuate dal centro sinistra.

Il documento pontificio, rileva poi la saturazione graduale dell’industrializzazione, e individua il rischio dell’imperialismo internazionale del denaro. Di fronte a queste emergenze, il Papa accenna alla necessità di assistere i deboli e sviluppare l’equità nelle relazioni internazionali. Questi due punti – chiarisce ancora don Marturano – non sono intuizioni profetiche, ma dati di fatto, evidenze ancora attuali. L’assistenza ai deboli, infatti, è diventata un’esigenza di mercato, un punto all’ordine del giorno delle politiche economiche, per ridistribuire reddito e dare ossigeno al mercato, evidentemente saturo. Ed è altrettanto indispensabile pensare a una governance mondiale che realizzi rapporti più giusti a livello internazionale».

Se ai tempi della Populorum Progressio, il Papa già scorgeva i rischi del capitalismo finanziario, oggi il nostro tempo sembra vederne in pieno gli effetti.

«La crisi dei nostri giorni – dichiara don Marturano – è finanziaria, e per questo drammatica. Perché il mercato finanziario è governato dal ricatto puro, dalla violenza, dalla non legge. Tocca alla politica a livello mondiale tentare di governarla, se vuole lavorare a favore della gente, della democrazia. Ma questa aspirazione è contrastata dalle forze oligarchiche che cercano di salvaguardare i loro interessi. Queste forze finora sono risultate vittoriose, perché hanno propagandato la resa. Cioè hanno sostenuto il partito del disinteresse: la gente non è più andata a votare perché ha visto che le élites al governo hanno difeso il loro tornaconto.

Il problema, oggi, è che la politica non gestisce lo sviluppo a livello popolare, ma pensa a tutelare gli interessi che rappresenta. Questo modo di agire è la negazione della democrazia,  che si cura del bene di tutti, non di una parte. E genera un rischio di involuzione democratica, che si verifica spesso nei passaggi critici della storia.

Tuttavia, accanto alla “resa”, c’è una forza opposta, di “resistenza”. Ovvero, una presa di responsabilità, una rivalsa democratica di partecipazione. È la consapevolezza che bisogna governare questa situazione, per non restarne schiacciati. La resistenza, quindi, è una risposta a livello globale nella misura in cui si basa su regole condivise e sull’equità delle relazioni economico sociali.

Ma è anche una questione antropologica, culturale. Cioè una scelta di campo che salvi l’uomo, e non faccia prevalere l’affermazione di sé e il dominio sull’altro. Questo è possibile riscoprendo la carità universale, cioè la necessità di intervenire di fronte ai bisogni elementari dell’uomo. Di agire senza calcolare, in modo gratuito e tempestivo. Perché la gratuità e il dono sono le forme più alte di dignità umana».

 

 

Vittoria Modafferi