Un Nord del mondo sviluppato, e un Sud povero e affamato. Un divario che si allarga tra le due parti del pianeta. Sfruttamento, discriminazione, povertà e sovrappopolamento. Questo è il panorama del mondo contemporaneo che si presenta agli occhi del Pontefice a fine anni ’80. Quando Giovanni Paolo II scriveva l’enciclica Sollecitudo rei socialis (1987), la speranza di sviluppo che si era prospettata negli anni Sessanta, pareva ancora lontana da realizzarsi. La possibilità di soluzione della questione sociale, attraverso lo sviluppo solidale – già ventilata da Paolo VI vent’anni prima – resta così argomento di riflessione per la dottrina sociale della Chiesa.
Ad approfondire il tema per il seminario che si svolge alla scuola di formazione politica “Monsignor Lanza”, è intervenuto don Domenico Marturano – vicario episcopale per la cultura. Il sacerdote reggino ha messo in luce il quadro socio economico contemplato dall’enciclica, e gli aspetti propositivi suggeriti dal Pontefice.
«Il fossato tra Nord e Sud del mondo – ha spiegato don Marturano – era cresciuto. E le velocità di accelerazione dello sviluppo erano molto diverse. Gli indici economici mostravano che la speranza di sviluppo prospettata anni prima era fioca. Milioni di esseri umani vivevano sotto il peso intollerabile della miseria. Anche gli indici culturali rilevavano una situazione di poca speranza. Analfabetismo e impossibilità di accedere all’istruzione superiore, incapacità di partecipare alla costituzione politica della nazione, disoccupazione, sfruttamento e traffici di organi, mancanza di abitazioni nelle zone più popolate. Erano problemi davvero drammatici. Accanto ai quali si collocavano le crisi ricorrenti del capitalismo nei Paesi più ricchi, e il fallimento del post colonialismo. Il contesto internazionale era ancora dominato dalla divisione in due blocchi, che incideva molto sullo sviluppo. L’acutizzarsi della contrapposizione Est-Ovest comportò la corsa agli armamenti durante la presidenza americana di Reagan. Questo fenomeno incentivò lo sviluppo delle industrie belliche e delle tecnologie di precisione ad Ovest, con conseguenze rilevanti nel mondo del lavoro. L’automazione e la computerizzazione della produzione crearono disoccupazione. L’Est, dal canto suo, cercava di stare al passo stringendo la cinghia, ma alla fine implose perché la sua economia non reggeva. Questa corsa agli armamenti comportò spese enormi, e i finanziamenti che potevano essere destinati allo sviluppo furono convogliati nell’acquisto e produzione di armi. Inoltre, ambedue i fronti vivevano questa politica di riarmo come imperialismo. Ciò che si produceva, cioè, si usava per celebrare la propria potenza. Tutti questi problemi studiati dalla Sollecitudo rei sociali, sollevavano una domanda: che tipo di sviluppo si vuole proporre? Quello del capitalismo senza regole, o è necessario che qualcuno lo diriga? Secondo la dottrina sociale, lo sviluppo ha bisogno di una direzione che deve venire attraverso la democrazia. L’economia non deve essere lasciata in balia del libero mercato. A tal proposito, il Papa sviluppa una sua lettura teologica. Egli afferma che ciò che ha prodotto questa situazione è l’egoismo, il peccato originale. L’uomo non solo è capace di compiere il male, ma ha creato “strutture di peccato”.
La forza del male si è organizzata nel mercato come sfruttamento scientifico contro i poveri. L’egoismo diventa così potere e struttura finanziaria mondiale. Questo stato di cose si può vincere solo con una conversione dall’egoismo alla solidarietà, che il Pontefice vede in atto in Polonia con il movimento di Solidarnosc. Lì la lotta sindacale stava mettendo in crisi l’ideologia che usava prevalentemente la forza. La solidarietà si rivelava l’unica forza capace di mettere in crisi il potere e l’imperialismo, e di gestire il mercato. Da questa esperienza veniva alla luce la proposta di democrazia solidale, cioè di organizzazione della solidarietà».
Questa prima riflessione sulla solidarietà come grimaldello che fa saltare i regimi totalitari, e come via alternativa alla visione liberale, è stata ulteriormente sviluppata dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Nel 1991 viene, infatti, pubblicata l’enciclica Centesimus annus.
«Gli avvenimenti del 1989 – prosegue don Maturano – furono riletti dal Papa guardando soprattutto alle conseguenze. Quei fatti, secondo il Pontefice, rivelarono all’Europa il dovere storico di creare e consolidare strutture internazionali capaci di intervenire in caso di conflitti che creano ingiustizie. Giovanni Paolo II vedeva l’urgenza di uno sforzo per la ricostruzione morale ed economica dei Paesi che erano sotto il comunismo, nonché l’elevazione dei poveri, che non sono un fardello, ma chiedono di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto le loro capacità di lavoro per creare un mondo più giusto. Lo sviluppo, dunque, va inteso in modo integralmente umano. I regimi totalitari avevano portato all’estremo il principio del primato della forza sulla ragione. Bisogna, invece, riconoscere il diritto della coscienza umana, della ragione, altrimenti possono riprendere vigore regimi autoritari, forme di fondamentalismo religioso, o prevalere valori utilitaristici intesi come godimento immediato. La radice del governo totalitario, secondo la lettura del Pontefice, è la negazione della trascendente dignità della persona. Quando si nega l’intoccabilità dell’uomo, inizia l’imperialismo. L’intangibilità dell’uomo è connaturata al suo essere, non è lo Stato che dona dignità all’uomo attraverso il riconoscimento di diritti, come afferma la visione liberale. Lo Stato non è l’assoluto, ma solo uno strumento di democrazia. L’uomo si serve dello Stato per difendere la sua dignità che è innata. E tra le varie forme politiche, la democrazia è il sistema più adeguato alla dignità dell’uomo. Compito della Chiesa è dare un contributo alla difesa di questa dignità e rendere possibile la promozione del bene comune. Essa deve salvaguardare il carattere trascendente della persona umana, tanto nei confronti della soluzione atea – che lo priva della componente spirituale – che nei confronti di soluzioni permissive e consumistiche, capaci di convincere l’uomo della sua indipendenza da Dio e dalle regole, e di chiuderlo in un egoismo dannoso. Come possibile soluzione a gravi problemi nazionali e internazionali, la dottrina sociale della Chiesa intravedeva la costituzione di un ordine democratico che si concretizzi nella promozione della giustizia; ma altrettanto necessari sono il cambiamento dei comportamenti e una convergenza comune su valori etico – religiosi».
Vittoria Modafferi