La prolusione del Prof. Vito Teti alle attività 2016/2017 dell’Istituto di Formazione Politico-Sociale Mons. A. Lanza – che ha visto una folta partecipazione – ha avuto per titolo Come riformare tra tradizione e innovazione nel pensiero e nelle utopie dei “grandi calabresi”.
Il docente, ordinario di Antropologia culturale dell’Unical, ha ricordato che i termini “riforma” e “riformismo” evocavano spesso modesti cambiamenti ad una generazione, ricca di slanci ed illusioni, che preferiva piuttosto parlare, in ambito socio-politico, di “rivoluzione”. Nella sfera culturale-religiosa la parola “riforma” richiama invece la tradizione del protestantesimo.
Secondo Teti, in Calabria i più grandi innovatori furono religiosi: il pensiero alto, riformista, utopico nacque nei secoli passati tra gli uomini della Chiesa. Si pensi – tra i giganti della cultura occidentale del XII secolo – a Gioacchino Da Fiore, l’abate “dotato di spirito profetico” che può considerarsi precursore del positivismo e della filosofia idealista, oltre che del marxismo stesso. Il pensatore calabrese profetizzava l’arrivo di una nuova era e un nuovo ordine che sovvertisse quello esistente pur permanendo all’interno di una tradizione sociale.
Questo ordine di pace e di abbondanza si ritrova anche nell’utopia di Tommaso Campanella, nella sua ideale Città del Sole “anti-melanconica”, dove tutti vestono una camicia bianca di lino, aborrendo il nero, e si nutrono di cibi locali e stagionali. Il riferimento di Campanella ad un passato glorioso appare come una critica alla situazione calabrese, all’epoca del vice-regno spagnolo, per esortare al cambiamento. Le relazioni dei Gesuiti del tempo, infatti, indicavano la Calabria come un’India interna. “Il nome calabrese non deve essere infesto agli altri”, tuonava il filosofo.
Ma pure San Francesco di Paola fu esempio di rinnovamento e guida spirituale dell’intera Calabria, esempio di virtù e sobrietà.
Il relatore ha poi ricordato diversi intellettuali illuministi, formatisi a Napoli, tra i quali Antonio Jerocades e Saverio Mattei, e altri uomini di Chiesa, come Vincenzo Padula di Acri e Lorenzo Galasso, che si distinsero per la difesa del mondo bracciantile e l’interesse per le condizioni del popolo, fino ad arrivare, più di recente, a don Francesco Mottola, che predicò la carità integrale e l’assistenza ai poveri.
Da ultimo, l’antropologo ha citato lo scrittore calabrese Corrado Alvaro, grande critico della società contemporanea: l’uomo moderno è un “frammento d’uomo” che vive nelle metropoli, dove regna un “egoismo da foresta”.
In conclusione, per V. Teti, in questa fase storica di cambiamento, le tradizioni non vanno rinnegate, ma restano come punto di partenza e di orientamento: non è possibile la modernità se si ignora la tradizione, che è cosa ben diversa dal folklore e dal tradizionalismo. Rispetto alle grandi incognite del futuro, poi, resta la concreta “utopia minimale” delle scelte quotidiane, sotto la guida della propria coscienza e del desiderio del bene comune.
Stefania Giordano