“Non vi chiedete se esistono strumenti giuridici che garantiscano la partecipazione, quanto piuttosto se è vivo il nostro spirito partecipativo, se vogliamo uscire dal nostro guscio. L’impegno civile per una città migliore ha effetti positivi per la vita di ognuno di noi”. Con questa introduzione si è aperto l’incontro, svoltosi presso il centro civico di Arghillà, inserito nel progetto pastorale promosso dalla diocesi sul territorio della parrocchia Sant’Aurelio. “Cittadinanza e partecipazione” è stato il tema del terzo appuntamento organizzato dall’Istituto di formazione politica. Ha condotto l’incontro Francesco Manganaro – docente di diritto amministrativo presso l’Università Mediterranea di Reggio – insieme a Magda Galati, docente dello stesso Istituto. L’incontro ha offerto spunti di riflessione sul senso, sui luoghi e sugli effetti della partecipazione, spiegando anche il significato della cittadinanza nell’attuale contesto globalizzato.
Spesso la partecipazione prescinde dagli strumenti giuridici – ha precisato Manganaro – ma si impone per la forza dell’opinione pubblica, che da sola pone all’attenzione dei governanti un certo tipo di problema: basti pensare ai grani movimenti pacifisti o ambientalisti o dei consumatori. Tuttavia, può succedere che lo spirito partecipativo degradi, si svilisca, a causa della stanchezza dei cittadini. “L’operazione culturale che dobbiamo fare – ha chiarito il docente – è insistere sul fatto che partecipare e costruire una città migliore conviene anche al singolo. Altrimenti, anche l’arricchimento personale giova poco, se poi la casa comune (la città) è brutta e inefficiente. Direi che bisogna stimolare un certo spirito “egoistico”, veicolando il concetto che l’impegno per il bene comune serve a ciascuno per vivere meglio nella realtà in cui si trova”.
Quanto agli effetti giuridici della partecipazione, Manganaro ha ricordato che con la nascita degli Stati nazionali il voto era il momento partecipativo per eccellenza. Ancora oggi rimane fondamentale, sebbene la crisi dei partiti dimostri che la rappresentanza politica attraverso il voto popolare non sia più sufficiente. E questo per effetto di un duplice fenomeno: il rafforzamento dei poteri degli enti locali e la presenza di organizzazioni sovranazionali che hanno indebolito lo Stato. Quando nel 1990 si scrissero gli statuti comunali, si crearono strumenti di partecipazione (come il referendum) che coinvolgono il cittadino sul piano locale. Inoltre, si affermò il principio che la cittadinanza non è un rapporto giuridico con lo Stato nazionale, ma un rapporto basato sulla residenza: alla vita delle istituzioni locali possono partecipare tutti i residenti, non solo i cittadini italiani. Poi con l’affermarsi di organismi sovranazionali, come l’Unione europea, la cittadinanza si deterritorializza. Non è più legata solo al territorio o allo Stato, ma grazie anche ai mezzi di comunicazione, diventa più ampia. Oggi si parla infatti di “pluricittadinanza” perché è una realtà variegata e multiforme. Con uno slogan si può dire che il pensiero è globale, ma l’agire è locale. Perché i principi che maturano ad un livello ampio, globale, poi si sperimentano, si applicano, nell’ambito locale. Qui, inoltre, è più facile operare un controllo delle istituzioni, perché i cittadini hanno un contatto diretto con gli amministratori e questo li rende meno vulnerabili all’influenza mediatica. Ci sono esempi concreti, in comune o nella regione, in cui la partecipazione popolare ha influito o determinato le scelte amministrative (l’opposizione ad una discarica …). L’importante è non scoraggiarsi e non pensare che l’impegno sia senza frutti. E non lasciarsi intrappolare dai legami con i partiti. Leggere, infatti, le decisioni amministrative sempre alla luce di una ideologia partitica è sbagliato; dobbiamo considerarle per quello che sono. D’altra parte, la buona politica non imbavaglia la partecipazione, perché sa che certe scelte vanno condivise. Per questo è importante avere dei luoghi in cui si può esprimere la partecipazione, in cui discutere e confrontarsi liberamente. Avere associazioni e gruppi indipendenti e autonomi che creano idee o progetti è un grande bene anche per la politica che ne viene stimolata.
La dottoressa Galati, nel suo intervento, ha ribadito che «nei cittadini vi è un po’ di sfiducia e si pensa che le cose non possano cambiare. A volte è più facile criticare che non partecipare, perché è necessario un grande impegno per attuare cambiamenti, partendo dalle realtà più vicine. L’importante è non rimanere isolati, ma stare insieme, creare il senso del gruppo e della comunità». Quanto al problema della partecipazione, Magda Galati ha voluto riaffermare che «non consiste solo nell’esprimere il proprio voto. Tuttavia, soffermandoci su questa modalità di intervento nella vita democratica, oggi con l’attuale legge elettorale quale esercizio di partecipazione riusciamo a realizzare? Siamo davvero cittadini liberi di scegliere o ci ritroviamo liste predefinite di candidati con i quali non abbiamo nessun legame? Siamo stati privati del potere di non riconfermare un candidato che non ha operato bene durante il suo mandato, eppure non noto sdegno da parte dei cittadini. Non si leva nessuna protesta e nessuna richiesta di cambiamento». L’altro punto su cui la Galati ha voluto interpellare il pubblico presente è il rapporto tra partecipazione e informazione. «Per poter partecipare, è indispensabile essere preparati, informarsi, impegnarsi a capire certi meccanismi. Eppure, a volte si nota una influenza eccessiva dell’informazione che ci presenta le cose in modo distorto».
Dopo i contributi dei docenti, si è aperto il dibattito tra i cittadini presenti all’incontro. Il parroco don Francesco Megale ha auspicato che queste iniziative coinvolgano sempre più persone e in primo luogo i cristiani, che devono crescere nella consapevolezza dell’importanza dell’impegno in prima persona, senza delegare agli altri le decisioni. L’intervento di una ragazza cresciuta nel quartiere di Arghillà ha rimarcato la mancanza di luoghi in cui ci si possa confrontare sui problemi del territorio. «Non c’è la libertà – ha spiegato – di esprimere un giudizio, perché esiste un certo disagio diffuso: non si vive una vita serena e priva di problemi, per cui ognuno è preoccupato di soddisfare il proprio bisogno». Anche un secondo intervento ha sottolineato la necessità di partecipare alla vita delle istituzioni locali. «Credo che bisognerebbe lavorare molto per crescere nella cultura della partecipazione, già a partire dalla scuola – ha dichiarato un abitante di Arghillà – Fino a quando il cittadino non entra nel problema del territorio in cui vive, non avrà la possibilità di incidere e influire sulle scelte di chi amministra. È importante costruire questa cultura dell’appartenenza e della partecipazione». Infine, il presidente della circoscrizione ha ribadito la necessità di una partecipazione attiva dei cittadini, che siano anche consapevoli di dover contribuire ad un uso corretto del territorio.
Vittoria Modafferi