Il titolo: se non è chiaro dove mettiamo i piedi (per camminare) rischiamo d’infangarci le mani.
Con p. Francesco la Chiesa si sta sbilanciando sul sociale? «p. Francesco è comunista». Sembrava un’accusa – post conciliare – ormai sorpassata («Non ho detto niente di più di ciò che è scritto nella dottrina sociale della Chiesa … E se è necessario che reciti il credo, sono disposto a farlo», conf. stampa in viaggio agli USA).
Qual è la riforma della Chiesa di p. Francesco? Si dice (nella migliore delle ipotesi): è un «pastorale» (non dottrinale, non insiste sulla morale). La sottolineatura non dice che è radicato nella «spiritualità degli EESS», cioè del discernimento; e sulla Parola del Vangelo (di tutta la Scrittura), dunque su Gesù (sul fondamento della contemplazione dell’Incarnazione, cuore degli EESS [e sull’Inno di Fil 2,1-11]).
1. Le riforme «esterne»
Sono quelle visibili. Alcune apparentemente esterne, ma di fatto testimonianze personali.
Altre non sono visibili: che – per lo spirito del discernimento – propongono un cammino.
Particolarmente importante è la riforma attivata con l’istituzione di un gruppo di cardinali, provenienti da tutto il mondo; apparentemente riguarda solo la curia romana.
Nei discorsi alla gerarchia, i mass media vedono rimproveri, anche perché – ormai apertamente e a tutti i livelli – membri della gerarchia si sentono sotto attacco – e l’attaccano –, quando p. Francesco li esorta a una conversione evangelica (a puzzare di pecora).
2. La «nuova evangelizzazione» nell’esortazione apostolica «Amoris Laetitia»
Riprende le preoccupazioni di Giovanni XXIII che indice il CVII: ritrovare il dialogo col mondo.
Non è un aggiornamento dei linguaggi, né una specie di riscossa o un nuovo proselitismo.
È piuttosto l’invito a ritrovare la GIOIA dell’annuncio, per la quale fondamento è la relazione mistica col Gesù del Vangelo. Non solo per una purificazione, ma per ritrovare la Bellezza dell’essere discepoli mandati dalla e per la Misericordia. È un segno di continuità – la nuova evangelizzazione –, ma anche di discontinuità, dopo la tendenza a enfatizzare i valori irrinunciabili.
Per tanti è cedere al mondo. Lui non relativizza, ma sceglie il dialogo nell’attuale contesto storico. È pastore che interroga le Coscienze, non teologo d’esclamativi, che trasforma l’annuncio in laboratorio asettico.
3. L’enciclica «Laudato si»: l’annuncio del Vangelo all’interno d’una visione globale
Espone la sua visione del dialogo col mondo (che gli ha meritato le accuse …).
È un’enciclica apparentemente sull’ecologia, ma contiene la visione dell’impegno nel mondo attuale, fondato sulla responsabilità che nasce dal dono. E, per noi cristiani, sul dono che è Gesù; che diventa compito e fedeltà ad esso; embrione d’infinito, in un oggi in cerca dell’oltre; col cuore del Padre di tutti e del futuro.
4. Mi soffermo sul discorso rivolto all’ultimo incontro coi «movimenti popolari»
a) Perché
Sugli altri documenti si son fatti incontri e commenti …
Insieme alla visione evangelica nel sociale (Evangelii Gaudium), esorta chi opera nel sociale, e sta con gli ultimi. E riconosce e affida loro una specifica responsabilità nell’attuale contesto storico.
… Vorrei sottolineare due rischi che ruotano attorno al rapporto tra i movimenti popolari e politica: il rischio di lasciarsi incasellare e il rischio di lasciarsi corrompere.
b) Rimanere tra i poveri
Ma come? Sinché fate la carità nessun problema; ma se diventate voce critica, uscite dalla casella dove vi si tollera, siete da combattere (Camara).
Questo sta atrofizzando la democrazia, ma voi non potete rassegnarvi, per amore dei poveri che servite. Invece dovete continuare a lottare per la Giustizia; i cristiani anche per essere veri discepoli di Gesù.
Primo, non lasciarsi imbrigliare, perché alcuni dicono: la cooperativa, la mensa, l’orto agroecologico, le microimprese, il progetto dei piani assistenziali… fin qui tutto bene. Finché vi mantenete nella casella delle politiche sociali, finché non mettete in discussione la politica economica o la politica con la maiuscola, vi si tollera. Quell’idea delle politiche sociali concepite come una politica verso i poveri, ma mai coi poveri, mai dei poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli, mi sembra a volte una specie di carro mascherato per contenere gli scarti del sistema. Quando voi, dal vostro attaccamento al territorio, dalla vostra realtà quotidiana, dal quartiere, dal locale, dalla organizzazione del lavoro comunitario, dai rapporti da persona a persona, osate mettere in discussione le macrorelazioni, quando strillate, quando gridate, quando pretendete d’indicare al potere una impostazione più integrale, allora non ci si tollera più tanto perché state uscendo dalla casella, vi state mettendo sul terreno delle grandi decisioni che alcuni pretendono di monopolizzare in piccole caste. Così la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino.
c) In una democrazia in crisi, siamo chiamati a creare partecipazione per il bene comune.
Per denunciare i falsi profeti del benessere; e vincere paure (di tutti e nostre) e disperazioni (degli scartati).
Voi, organizzazioni degli esclusi e tante organizzazioni di altri settori della società, siete chiamati a rivitalizzare, a rifondare le democrazie che stanno attraversando una vera crisi. Non cadete nella tentazione della casella che vi riduce ad attori secondari o, peggio, a meri amministratori della miseria esistente. In questi tempi di paralisi, disorientamento e proposte distruttive, la partecipazione da protagonisti dei popoli che cercano il bene comune può vincere, con l’aiuto di Dio, i falsi profeti che sfruttano la paura e la disperazione, e vendono formule magiche di odio e crudeltà o di un benessere egoistico e una sicurezza illusoria.
d) L’inequità è la radice dei mali: oggi è questo il nome dell’ingiustizia
E noi dobbiamo incidere sulla radice dei mali, per lavorare al vero cambiamento.
È qualcosa che non dobbiamo aspettarci dall’alto, ma da costruire stando dalla parte dei poveri.
Sappiamo che «finché non si risolveranno radicalmente i problemi dei poveri, rinunciando all’autonomia assoluta dei mercati e della speculazione finanziaria e aggredendo le cause strutturali dell’inequità, non si risolveranno i problemi del mondo e in definitiva nessun problema. L’inequità è la radice dei mali sociali» (Es. ap. Evangelii gaudium, 202). Per questo, l’ho detto e lo ripeto, «il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi e anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento» (Disc. II incontro mondiale mov. popolari, S. Cruz de la Sierra, 9.7.15)
e) Il valore – e il dovere – aggiunto della nostra responsabilità
Se è sempre grave la corruzione, per noi avrebbe anche la ricaduta della non credibilità del nostro impegno, ma soprattutto del tradimento dei poveri (e per noi cristiani della vanificazione del Vangelo).
Il secondo rischio è lasciarsi corrompere. Come la politica non è una questione dei politici, la corruzione non è un vizio esclusivo della politica. C’è corruzione nella politica, c’è corruzione nelle imprese, c’è corruzione nei mezzi di comunicazione, c’è corruzione nelle chiese e c’è corruzione anche nelle organizzazioni sociali e nei movimenti popolari. È giusto dire che c’è una corruzione radicata in alcuni ambiti della vita economica, in particolare nell’attività finanziaria, e che fa meno notizia della corruzione direttamente legata all’ambito politico e sociale. È giusto dire che tante volte s’utilizzano i casi corruzione con cattive intenzioni. Ma è anche giusto chiarire che quanti hanno scelto una vita di servizio hanno un obbligo ulteriore che s’aggiunge all’onestà con cui qualunque persona deve agire nella vita. La misura è molto alta: bisogna vivere la vocazione di servire con un forte senso d’austerità e umiltà. Questo vale per i politici ma anche per i dirigenti sociali e per noi pastori. Ho detto austerità e vorrei chiarire a cosa mi riferisco. Intendo austerità morale, nel modo di vivere, nel modo in cui porto avanti la mia vita, la mia famiglia. Austerità morale e umana. A qualsiasi persona troppo attaccata alle cose materiali o allo specchio, a chi ama il denaro, banchetti esuberanti, case sontuose, abiti raffinati, auto di lusso, consiglierei di capire cosa sta succedendo nel suo cuore e di pregare Dio di liberarlo da questi lacci. Ma, parafrasando l’ex-presidente Muija, colui che sia affezionato a tutte queste cose non si metta in politica, non in un’organizzazione sociale o in un movimento popolare, farebbe molto danno a sé stesso, al prossimo e sporcherebbe la nobile causa che ha intrapreso.
Chi serve i poveri deve scegliere l’umiltà e l’austerità. Per un radicalismo che non è quello dei denti stretti, ma di chi discerne continuamente dove radica la propria Coscienza.
E per noi cristiani è prendere Coscienza che il Dono diventa anche chiamata e missione.
5. Conclusione: stare nel mondo, coi piedi nel cielo e le mani nel fango
Dio genera l’uomo modellandolo nel fango, respirandogli il suo respiro: bocca a bocca con lui, o con la bocca dello stomaco …
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