La tutela dei diritti fondamentali nello spazio giuridico europeo

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Lo spazio giuridico europeo si presta ad una molteplicità di declinazioni possibili, in cui i diritti appaiono ora più solidi, ora più frammentari, a seconda del “tipo” a cui appartengono (civili e politici, o sociali) e del momento storico-economico in cui vengono in rilievo. Lo Stato nazionale si trova stretto nella “morsa” del sovranazionale e, di fronte a simili pressioni, può decidere di chiudersi in un nazionalismo esasperato e populistico, oppure di aprirsi alle spinte sterne, attuando una riforma del proprio ordinamento [v., in proposito quanto affermato da Giovanni Paolo II nel Discorso
al Consiglio dei Ministri della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa
, il 30 novembre 1993: «Mi viene spontaneo pensare che “Europa” voglia dire “apertura”!»]. La scelta consapevole, in questi casi, consiste nel trovare il ragionevole equilibrio tra le due dimensioni dei diritti fondamentali, sui quali si fonda e per mezzo dei quali trova legittimazione lo Stato stesso, nel momento della sua fondazione assiologica (intesa come insieme di valori condivisi dai consociati), egualmente importanti e in continua tensione tra loro: l’universalità e la particolarità (o storicità). Se la prima (l’universalità) si apprezza nella “portata” dei diritti, che si presenta molto simile all’interno dei diversi ordinamenti, la particolarità si radica nel grado di tutela degli stessi, che differisce profondamente da un “livello” all’altro dello spazio giuridico europeo, ed è proprio per tale ragione e in questo punto nevralgico del sistema (la tutela “multilivello” dei diritti fondamentali) che si innestano i conflitti più aspri tra i diversi ordinamenti. Conflitti che, solitamente, interessano gli (e vengono composti dagli) organi giudiziari di massimo grado (Corti costituzionali nazionali, Corte di Giustizia, Corte Europea dei diritti dell’Uomo), che li affrontano con tecniche di giudizio simili (specie per quanto concerne l’ampio ricorso al principio di proporzionalità e a quello di ragionevolezza), ma con tipi di bilanciamenti ed esiti non sempre uguali.

Si tratta di conflitti che restano frammentati e tra loro isolati e difficilmente contribuiscono a creare un “sistema multilivello di tutele”; infatti, quanto più la libertà di circolazione ha assunto una portata determinante nello spazio giuridico europeo, tanto più il conflitto sociale si è progressivamente spostato oltre i confini nazionali, fino ad essere evitato del tutto, accontentandosi della ricerca di condizioni di vita migliori in un territorio diverso da quello di origine. Ma lo spazio giuridico sovranazionale non è un territorio e non ha un territorio, perché non possiede, ad oggi, un’identità (culturale), come quella degli Stati che compongono le organizzazioni sovranazionali, a cominciare dall’Unione Europea (la c.d. piccola Europa dei 28). Uno spazio, quest’ultimo, che sta attraversando una profonda crisi politico-istituzionale ed economica, per aver dimenticato la triade di valori su cui si basava il mercato sociale europeo pensato da Jaques Delors nel suo Rapporto, ossia: il mercato che seleziona, la solidarietà che accomuna e la cooperazione che rafforza. La crisi dell’Europa è attribuibile primariamente alla carenza di solidarietà (testimoniata dalla c.d. Grexit) e di cooperazione (come mostra la c.d. Brexit) tra gli Stati Membri. Come suggerisce Etienne Balibar, l’attuale situazione europea si può paragonare all’Interregno di gramsciana memoria; scriveva, infatti, Gramsci dalle mura del carcere: «La crisi consiste nel fatto che il vecchio muore e il nuovo non può nascere: in questo interregno di verificano i fenomeni morbosi più svariati».

Cos’è “il vecchio” per l’Unione Europea? Sono le politiche di austerità che hanno prostrato i sistemi di welfare nazionale; la costruzione di un mercato comune solo economico e non anche sociale; la scelta della competizione in luogo della cooperazione e della sola efficienza economica (di breve periodo) al posto della solidarietà e della giustizia sociale.

Qual è o quale potrebbe essere “il nuovo” per l’Europa? Nella “stagione delle riforme”, sicuramente la prima risposta che viene in mente è, appunto, una riforma dei Trattati, per connotarli più marcatamente con tratti solidaristici e di giustizia sociale. Tuttavia, si potrebbe forse cominciare, più modestamente, dal tentare di trasformare il populismo imperante in discorso popolare [E. Balibar], che miri a formare un’opinione pubblica europea in grado di scegliere consapevolmente come uscire dalla crisi e che riesca a vedere anche strade alternative – e spesso più promettenti – ogni volta che le scelte delle istituzioni sovranazionali pongano al secondo posto la giustizia sociale e trasformino il processo di integrazione del mercato nella disintegrazione dei diritti [S. Sciarra], ed è ciò che, molto umilmente, in questo nostro incontro tenteremo di (iniziare a) fare.

Simona Polimeni

Brevi indicazioni bibliografiche consigliate sul tema

  1. Balibar, Étienne, Crisi e fine dell’Europa?, Bollati Boringhieri, Torino 2016;

  2. Chabod, Federico, Storia dell’idea d’Europa, Laterza, Roma-Bari, 20159;

  3. D’Agostini, Marco, Diritti fondamentali e governance economica europea, in Democrazia e Sicurezza, 3/2016;

  4. Guazzarotti, Andrea, Crisi dell’euro e conflitto sociale. L’illusione della giustizia attraverso il mercato, Franco Angeli, Milano 2016;

  5. Habermas, Jürgen, Questa Europa è in crisi, Laterza, Roma-Bari 2012;

  6. Rossi, Pietro, L’identità dell’Europa, Il Mulino, Bologna 2007;

  7. Sciarra, Silvana, L’Europa e il lavoro. Solidarietà e conflitto in tempi di crisi, Laterza, Roma-Bari 2013;

  8. Vaciago, Giacomo, Un’anima per l’Europa, Il Mulino, Bologna 2014.

 

 

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