I difetti della riforma costituzionale

 

Il  25 novembre all’Istituto Lanza il dibattito sulla riforma costituzionale è proseguito con la prof.ssa Carmela Salazar, ordinario di Diritto Costituzionale dell’Università Mediterranea, che si è soffermata sull’analisi delle funzioni non legislative attribuite al Senato e sulla modifica del titolo V.

L’insieme delle regole e dei principi della Costituzione, oltre a stabilire i poteri e le funzioni degli organi istituzionali, devono necessariamente porne anche dei limiti, per evitare abusi soprattutto da parte della politica.

Uno dei difetti più gravi della nuova riforma è, secondo la docente, la mancanza di concretezza nella formulazione del linguaggio costituzionale, proprio nelle parti in cui si pongono i limiti ai poteri, nonché la scelta di utilizzare termini ambigui, a-tecnici e di difficile interpretazione per descrivere le funzioni del nuovo Senato.

Ad esempio, nel novellato art. 55, tra le funzioni non legislative del Senato, sono indicati: il raccordo tra lo Stato e gli altri enti; la valutazione delle politiche pubbliche; la verifica dell’impatto dell’U.E. sui territori. Ma il termine raccordo, non essendo tecnico-giuridico, non risulta idoneo ad individuare meccanismi concreti di funzionamento in sede attuativa; il termine valutazione risulta parimenti ambiguo, perché potrebbe interpretarsi sul piano dell’efficacia o su quello dei costi e le parti politiche potrebbero cambiarne completamente i contenuti; è indice di approssimazione anche l’utilizzo del termine territori piuttosto che enti locali. Il Senato, inoltre, dovrebbe concorrere a esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo, ma non è specificato con chi dovrebbe farlo.

Nella pratica, il Senato si troverà a valutare le politiche pubbliche secondo le regole fissate dalla Camera, quindi – a suo giudizio – verrà meno un effettivo ruolo di controllo.

Altro punto critico, ben più discusso nei vari dibattiti, è la modifica del titolo V.

Tra i principi fondamentali della prima parte della Costituzione è previsto il riconoscimento delle autonomie locali, posta l’unità e indivisibilità della Repubblica (art. 5): il bilanciamento tra unità e autonomia avviene attraverso il principium cooperationis. Ma questa riforma favorisce – secondo la docente – a dismisura lo Stato, eliminando la potestà concorrente con le Regioni, che è invece necessaria in alcune materie (come il governo del territorio).

Inoltre, l’intervento statale in materie non riservate alla propria legislazione esclusiva, previsto per tutelare l’interesse nazionale o l’unità giuridica ed economica della Repubblica (c.d. clausola di salvaguardia, art. 117), può essere richiesto solo dal Governo. Ciò desta perplessità, poiché concorre ad aumentare i poteri dell’esecutivo; inoltre, è bene ricordare che, in passato, prima della riforma del 2001, questa clausola, già presente nel testo allora vigente della Costituzione, è stata utilizzata dal Governo in maniera arbitraria, arrivando ad invadere ripetutamente gli ambiti di competenza regionale. In ogni caso ed in via definitiva, nell’ipotesi di contrasto “Stato-Regioni”, è sempre possibile adire la Corte costituzionale.

Stefania Giordano