Comprendere le priorità di una società complessa e piena di contraddizioni come quella in cui viviamo, è questione di non poco conto. Nell’attuale esaltazione dei primati – che implicano la superiorità di qualcuno su qualcun altro – diventa difficile individuare le autentiche priorità di una comunità. Di questo argomento si è ampiamente occupata la prof. Giovanna Cassalia – docente di antropologia filosofica presso l’Istituto superiore di scienze religiose di Reggio Calabria – durante una lezione tenuta alla scuola di formazione socio politica “Mons. A. Lanza”.
In una società – ha esordito la docente – in cui esistono inevitabilmente dei contrasti, generati dalla convivenza tra persone, bisogna chiedersi da chi e come vanno risolti. I luoghi adatti a tale scopo, a livello sociale, sono i gruppi e le associazioni, mentre sul piano politico la soluzione dei conflitti spetta agli organismi a ciò deputati. Quanto alle modalità con cui si arriva alla composizione dei dissidi, in un regime democratico sono quelle del dialogo, della discussione, della critica, tanto nella società quanto in Parlamento.
Quali sono le ragioni in base a cui si scelgono le finalità e si decidono le modalità di un intervento o di un’azione politica? «Oggi – ha affermato la Cassalia – i criteri che guidano le scelte e le decisioni sembrano essere dettati prevalentemente, se non esclusivamente, da logiche funzionali e strategiche, ideologicamente orientate a sostenere interessi particolari. Che garantiscono libera cittadinanza, e promettente crescita, alle ricchezze, di vecchia e nuova accumulazione, ma incatenano gli spazi e le esistenze dei poveri, dei soli, degli stranieri. Si tratta di criteri per lo più solo efficientistici, rispondenti all’imperativo del ‘fare’, che punta esclusivamente al ‘risultato’, immediato e visibile, e al ‘prodotto’, anche là dove in gioco sono beni né materiali né misurabili, quando non addirittura le stesse esistenze umane».
Ora capire quali sono i percorsi di individuazione dei beni e valori comuni, per renderne possibile l’accesso a tutti – ha detto ancora la docente – è un problema che ci porta a considerare con la dovuta attenzione – tra l’altro – la contrapposizione, oggi accentuata anche dalla globalizzazione, tra sfera e interessi privati e sfera e interessi pubblici. «L’ambito “pubblico” ha grande rilievo per i processi di umanizzazione dell’uomo. Se esso viene ristretto, impoverito e sottomesso al privato, si restringe anche la possibilità di effettiva partecipazione di tutti alla vita sociale e politica, sino alla negazione di fatto di elementari e indiscutibili diritti a interi strati e categorie sociali – giovani, anziani, poveri, disoccupati». Qualche esempio per avvalorare questa percezione. «Nella nostra società auto di lusso, ville, strutture sanitarie e scuole private, oggetto di privilegiata, e discriminante, attenzione politica, si contrappongono a un trasporto pubblico fatto da treni che deragliano, a case popolari sempre più carenti, a ospedali pubblici e scuole a cui vengono tagliati i fondi. Chi non può permettersi il lusso, perché privo di mezzi economici, di farsi curare o istruirsi dove ci sono le eccellenze, ha di fatto un diritto, alla salute o all’istruzione, ‘minore’. È altrettanto palese la contraddizione generata ad esempio dalla pratica della privatizzazione dei profitti con accollo delle perdite all’intera società. Ancora, non v’è chi non veda come taluni interventi legislativi sono palesemente discriminatori. Gli immigrati ‘clandestini’ (quelli che non ‘servono’ al sistema produttivo, quelli che non sono ‘risorse’ – termine che andrebbe riservato alle cose, non riferito alle persone) sono accusati di reato, e al contempo furti e reati macroscopici sono facilmente cancellati (vedi falso in bilancio)».
«Occorre riportare in valore la dimensione pubblica. In primo luogo creando le condizioni (ed eliminando ostacoli e condizionamenti) perché davvero tutti si possano riappropriare degli spazi di comunicazione sociale, politica e culturale. Spazi che, con sempre maggiore disinvoltura e tante imperdonabili complicità, sono sottratti alla pratica del confronto, libero, responsabile, ‘civile’».
I detentori del potere politico e sociale, poi, hanno il compito e la responsabilità di trovare le forme e i modi più adeguati per rendere effettivi – e protetti – i diritti umani per tutti, nella loro traduzione concreta e possibile nei contesti specifici, tenendo conto delle conseguenze che le scelte e le decisioni hanno sugli uomini in carne e ossa.
A questo punto la docente ha puntualizzato il significato di alcuni termini che si richiamano spesso insieme, ad esempio pubblico, universale e comune. «Universale è ciò che è comune, che accomuna cose diverse tra loro. Riferendoci all’uomo è universale ciò che “vale”, che è bene per ciascuno e per tutti». Perché ciò che vale e che è bene per un singolo o per un gruppo, non è detto che lo sia per tutti. Perciò non si può dare priorità a un bene particolare che confligge con un bene universale, che vale invece per tutti e per ciascuno.
“Il ‘pubblico’ è lo spazio della relazionalità e dell’ospitalità. Spazio (fisico e interiore) che consente l’accesso a tutti, non esclude nessuno. Lo spazio dell’ospitalità vive e si nutre dell’incontro, del confronto e della critica. Dove per critica si intende quella salutare pratica della mente e del cuore che punta a distinguere, separare, per allontanare ciò che è ingiusto e non è bene, e a includere, invece, ciò che è bene e giusto. Perché criticare è ‘fare spazio’, nel duplice senso: di eliminare ciò che nuoce, ciò che è male e disvalore, e ostacola perciò il percorso umano delle persone; ma anche: di riordinare, mettere a posto, includere. In una parola: ospitare. Che non è semplicemente accogliere. Accogliere è permettere all’altro di entrare in un “mio” spazio. Mentre ospitare è cospirare, respirare insieme in uno spazio comune. Spazio che accomuna. Così la critica, se bene intesa ed esercitata, diventa il lievito della democrazia e apre gli spazi di riconoscimento reciproco tra gli uomini. E ce n’è davvero bisogno in quest’ora in cui stiamo vivendo come se l’uomo non ci fosse.”.
Vittoria Modafferi