La crisi della politica attuale è indubbiamente una crisi della rappresentanza e dei canali attraverso cui quest’ultima si organizza. Ma le origini dello stallo della democrazia italiana non sono affatto recenti, dato che le prime crepe del sistema partitico si sono prodotte in coincidenza con il boom economico. Un’analisi puntuale della nascita, delle caratteristiche e poi del declino dei partiti di massa, è stata svolta all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza” da Vincenzo Schirripa, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Messina.
I partiti politici – ha spiegato il docente – hanno avuto un ruolo preminente nella costruzione delle democrazie europee già nella seconda metà dell’Ottocento. Con l’avvento della società di massa, i luoghi in cui si decide come deve essere allestito lo spazio pubblico, chi deve comandare e chi deve controllare chi comanda, sono percepiti come qualcosa di disponibile alla discussione dei molti. I “molti”, cioè, iniziano ad essere rilevanti sul piano politico. In quel periodo cresce il ceto medio e la classe operaia trova i suoi canali di partecipazione e di rappresentanza nel partito socialista. Con l’irrompere delle masse nella vita politica, gli Stati liberali si pongono, quindi, il problema della capacità di mobilitare grandi quantità di persone. Per governare serve più che mai il consenso. E le democrazie liberali di fine Ottocento, quindi, investono sull’elemento nazionale. Il patriottismo, lo spirito di appartenenza a una nazione è uno dei catalizzatori che viene utilizzato per aggregare il consenso delle masse. Perché la componente affettiva insita nel sentirsi parte di una comunità con valori condivisi, è sempre un forte collante. Il nascente movimento operaio, da parte sua, fa leva sulla comune identità e sul comune destino della classe operaia. Si rivolge così al proletariato offrendogli i primi strumenti di alfabetizzazione politica e alcuni canali di sicurezza sociale. Si crea una rete di cooperative, società mutualistiche e forme di solidarietà organizzata che danno vita a delle “piccole patrie”, a delle appartenenze separate, spesso in competizione fra loro. E ciò accade sia nell’ambito del movimento operaio che nel mondo cattolico. Tale fenomeno se da un lato è stato un fattore di debolezza dell’identità nazionale, dall’altro ha accelerato la socializzazione politica delle masse preparandole alla partecipazione.
Questa fase di competizione delle reti associative di diversa matrice si chiude con l’avvento del fascismo, che sostituisce le organizzazioni preesistenti con quelle di stato o di partito. Le associazioni fasciste – che vanno dall’organizzazione del tempo libero e dello sport, all’aggregazione delle donne o della gioventù – sebbene abbiano degli orizzonti conservatori se non reazionari – hanno l’effetto paradossale di socializzare le masse, producendo quindi degli esiti modernizzanti. Anche la dittatura fascista deve fare i conti, quindi, con problemi relativi alla modernità, come l’inserimento delle masse in varie sfere della vita associata, politica e pre-politica.
Al termine del ventennio fascista i partiti che raccolgono la sfida della costruzione, in un contesto democratico, dei canali della rappresentanza politica, sono i due eredi del movimento operaio, ovvero il partito socialista e quello comunista, la democrazia cristiana che rappresenta il mondo cattolico, e alcune formazioni minori come il PLI e il PRI, eredi della politica risorgimentale. Il PCI che diventa partito di massa e assume una prospettiva nazionale, è il più ideologico e pedagogico: ha efficienti scuole di partito nonché una vocazione di partito scuola. Una tale impostazione ha la caratteristica di conformare ideologicamente, ma al tempo stesso offre una certa mobilità sociale attraverso la possibilità di fare carriera – ovviamente più per conformità che non per spirito critico – : anche un semi analfabeta può diventare senatore, dopo un’ adeguata formazione politica. Questo archetipo di partito – che è stato un canale di inclusione sociale e ha permesso, in parte, il ricambio della classe dirigente – ha costituito lo strumento principale di socializzazione politica nella prima fase dell’Italia repubblicana. La stessa DC e il PSI hanno tenuto in considerazione il modello delineato dal partito comunista, guardando alle sue scuole e alle sue forme di militanza. E in un contesto sociale in cui la partecipazione riguardava tutti i cittadini, i partiti avevano un ruolo di semplificazione dell’articolazione tematica della politica, ovvero dovevano rendere comunicabile e parlabile la politica. Senza dimenticare la funzione di selezione della classe politica e di formazione della militanza.
Il ruolo giocato dai partiti e la loro centralità nel sistema democratico iniziano a scricchiolare negli anni del boom economico. I cambiamenti sociali apportati in termini di mobilità geografica o di accesso ai consumi hanno, infatti, ripercussioni sulla centralità delle articolazioni ed organizzazioni politiche, intese come canali di mediazione e come luoghi esclusivi della partecipazione. I cittadini hanno a disposizione più opzioni, più canali di partecipazione su temi singoli. Pannella e i radicali hanno successo perché sono capaci di organizzare la mobilitazione su singole questioni. I funerali della Prima Repubblica – ha concluso il prof. Schirripa – probabilmente coincidono con quelli di Aldo Moro, che chiudono il corto circuito di un sistema politico che non ha saputo trovare, dopo il centro sinistra, altre modalità di innovazione per stare dietro alla domanda di cambiamento proveniente dalla società. Cambiamento che si esprimeva o attraverso forme di estremismo politico o di partecipazione eterodossa, come la mobilitazione su temi specifici quali il divorzio, l’aborto, i diritti di libertà. Si trattava di canali di intervento che non richiedevano un’adesione impegnativa alla stregua dei partiti di massa degli anni ’50, e che erano invece espressione di una società che aveva perso la capacità di polarizzarsi attorno a luoghi, canali e figure significative. Le forme di pedagogia politica dei partiti hanno ormai poca presa perché parlano ad un’Italia che si è già spostata sia territorialmente che in termini di appartenenza. Le piazze, i campanili, le case del popolo continuano ad esistere ma hanno altri significati.
Vittoria Modafferi