Il 27 e il 28 ottobre 2016 presso l’Istituto Superiore di Formazione Politico-Sociale Mons. A. Lanza sono intervenuti, rispettivamente il primo giorno l’avvocato Domenico Mesiti, docente di diritto del lavoro presso la Scuola di specializzazione delle professioni legali di Reggio Calabria, sui difetti della legge sulla riforma del mercato del lavoro (Criticità e pregi del Jobs Act) e, il secondo giorno, il dott. Vincenzo Musolino, Dottore di ricerca in Metodologie della filosofia presso l’Università di Messina e Ispettore del lavoro, che ha segnalato invece i pregi della riforma.
Mesiti ha ricordato che l’art. 18 della l. n. 300/70 e la l. n. 108/90 rappresentavano una forte tutela della stabilità del rapporto di lavoro: per le imprese con più di 15 dipendenti, nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, era prevista la reintegrazione sul posto di lavoro, con indennizzo e pagamento della contribuzione previdenziale. La c.d. “legge Fornero” del 2012 e il Jobs Act (l. delega n. 183/2014) hanno modificato l’art. 18, distinguendo diverse tipologie di licenziamento. Ora la sanzione normale, salvo i casi di licenziamenti nulli, orali o discriminatori, non è più la reintegrazione ma l’indennità risarcitoria ed è prevista anche un’offerta di conciliazione (che per il relatore è un’ulteriore forma di vero e proprio incentivo al licenziamento). Inoltre la determinazione dell’indennità è fissata in maniera oggettiva, sulla base dell’anzianità di servizio del lavoratore, come disciplinato dal c.d. contratto di lavoro a tutele crescenti. Il datore di lavoro, ora maggiormente tutelato, in precedenza si vedeva sfavorito dalle lungaggini dei tempi processuali e dalle relative indennità risarcitorie.
Questa riforma, secondo Mesiti, sfavorisce il lavoratore, soggetto debole, con buona pace dei principi etici della stessa dottrina sociale della Chiesa. Il fine ultimo, dettato dagli economisti seguaci del liberismo sfrenato, è la flessibilizzazione del mercato del lavoro. Le assunzioni sono incentivate solo perchè per i primi tre anni il datore non paga i contributi, ma può licenziare al quarto anno. Anche in tema di riforma degli ammortizzatori sociali, con la nuova Naspi, il lavoratore appare svantaggiato: l’indennità si parametra ora in base alla retribuzione degli ultimi 4 anni precedenti il sorgere della disoccupazione. Infine, nei casi di lavoro accessorio, i voucher, inizialmente utilizzati per tutelare il lavoro nero, sono divenuti uno strumento di “affitto” della prestazione lavorativa, dunque un sistema di sfruttamento dell’individuo.
Secondo Musolino, invece, il principale merito del Jobs Act è stato l’introduzione del nuovo contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, che ha eliminato le precedenti forme contrattuali che spingevano alla precarizzazione, quali co.co.pro, associazioni in partecipazione con apporto lavorativo, false partite iva. Con la decontribuzione per 36 mesi, prevista come “incentivo” per l’assunzione di lavoratori col nuovo contratto, la riforma ha dato una grande opportunità alle aziende italiane, contribuendo anche ad evitarne la delocalizzazione.
Fermo restando che non è sano, né naturale, obbligare datore di lavoro e lavoratore a “lavorare insieme” dopo un licenziamento, il superamento dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, che per anni ha rappresentato un limite alla crescita delle imprese oltre i 15 dipendenti (c.d. nanismo imprenditoriale), lascia comunque inalterato il diritto al reintegro sul posto di lavoro nei casi di licenziamento nullo, privo di forme, discriminatorio o disciplinare con accertamento in giudizio dell’inesistenza del fatto. Nel caso di licenziamenti dettati da motivi economici o crisi aziendali è previsto invece il solo indennizzo economico. La ragione logica è che tutti dovrebbero contribuire alla ripresa economica, sia i datori di lavoro con gli investimenti, che i lavoratori con la produttività della prestazione.
Musolino, infine, ha ricordato il senso profondo dell’economia sociale di mercato e della dottrina sociale della Chiesa: la salvaguardia di libertà e giustizia nelle contingenze storiche attuali e il lavoro, che viene creato innanzitutto dall’impresa, non è una variabile indipendente dalle condizioni economiche e sociali reali.
Stefania Giordano