L’ultimo incontro annuale della Cattedra del dialogo è stato tenuto da Luca Parisoli, professore di Storia della filosofia medievale nell’Università della Calabria, con una difficile ma acuta lezione su La Chiesa e gli “ultimi” prima durante e dopo il Concilio Vaticano II.
Partendo dalla classica distinzione fra rivelazione, tradizione e magistero, il relatore ha affermato che il Cristianesimo ha costituito la propria “identità” nel corso di molti secoli, presentando quindi una storia non lineare: pur permanendo la fedeltà al messaggio di fondo, non sono mancati momenti di “strappo” o “riforma”.
La tensione verso gli emarginati, gli ultimi, gli esclusi – già presente nel Vecchio Testamento – si evince dai Vangeli e dal variegato messaggio dei Padri della Chiesa, in una prospettiva ben diversa da quella del successivo neotomismo razionalista. Già per San Paolo il cristiano non deve fare distinzione tra persone, non deve discriminare. Così – nel nome del principio di uguaglianza fra gli uomini – la Chiesa tentò di destabilizzare l’istituzione della schiavitù e il codice della vendetta, che prima ancora del denaro produsse “emarginazione”.
Più tardi, San Francesco, dopo aver scelto per sé la povertà, rivolse lo sguardo verso i poveri urbani. Per il movimento francescano i “poveri involontari” non possono più essere considerati marginali.
Col trionfo della società capitalistica tutto cambia: le leggi dell’economia si imposero alla politica e la disuguaglianza diventò fattore determinante.
Il Concilio Vaticano II ha ricondotto invece la Chiesa alle fonti originarie della sua fede, indicando il ritorno ai Padri della Chiesa e all’umiltà del Cristo: il messaggio antropologico della Patristica è il recupero di un pensiero non funzionale all’apologia del denaro. Per Sant’Agostino il solo motore d’azione è l’amore: e questo – secondo Parisoli – sfugge all’analisi filosofica perché quello dei cristiani è un amore gratuito.
Il relatore ha contrapposto il paradosso dell’“alveare scontento” di B. de Mandeville all’ideale di sobrietà espresso oggi dall’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco, il quale al contrario riprende la dimensione cristologica del movimento francescano che invita a “servire il Cristo nella persona dei poveri”.
Naturalmente non è facile porre attenzione agli ultimi, ai marginali (non necessariamente tali perché senza denaro), né è automatico che il genuino richiamo alla povertà evangelica si traduca in progetti politici e sociali.
La questione è più complessa: nell’attuale società non è più tanto Dio a legittimare la morale, quanto la legge dello Stato e purtroppo la legge dello Stato democratico (ossia della maggioranza) non sempre tiene conto degli ultimi. Un cristiano, invece – anche grazie al Vaticano II – è invitato a non dimenticarli, aderendo a un’antropologia non costruita sul dio danaro.
Stefania Giordano