Il principio di fraternità nel sistema costituzionale italiano

Le rivoluzioni francese e americana lo hanno rivendicato come principio fondamentale. Il costituzionalismo moderno gli ha persino dato uno spazio rilevante. Eppure per molto tempo è stato dimenticato, in nome della sua radicalità, del suo essere al centro dell’esperienza giuridica.  Si tratta del principio di fraternità, argomento cardine della lezione svolta da Luigi D’Andrea – docente di diritto costituzionale all’Università di Messina – presso l’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”.

«Il principio di fraternità – ha esordito D’Andrea – è probabilmente il valore mediante cui si può pervenire ad un equilibrio fecondo tra la libertà e l’uguaglianza. Valori, questi ultimi, che si sono contrapposti nei due grandi modelli del XX secolo: il modello capitalista (che privilegiava la libertà a dispetto dell’uguaglianza) e quello comunista (che invece puntava sull’uguaglianza sacrificando la libertà). Una forma di realizzazione e conciliazione tra queste due alternative si può individuare nel modello di stato sociale, nella versione europea, che ha tentato di conciliare la libertà e l’uguaglianza tramite un’impostazione attenta alla solidarietà, da intendersi appunto come una manifestazione della fraternità».

Ma prima di esaminare dove è rintracciabile e come è stato declinato nel nostro ordinamento il principio di fraternità, il docente ha voluto rammentare lo stretto legame esistente tra fenomeno giuridico e sociale. «L’uomo, nella sua identità più profonda – ha precisato – è un essere in relazione, a cui ontologicamente appartiene la dimensione sociale – relazionale. Anche la personalità di ciascuno è dovuta ai rapporti che ha avuto con gli altri. Però – se è vero che abbiamo desiderio e bisogno degli altri – ciascuno è irripetibilmente se stesso, è un microcosmo, un mondo a sé. Noi tutti siamo dentro una rete di relazioni che ci definiscono ma che al tempo stesso sono esposte al fallimento. L’incontro con l’altro, infatti, può essere sia un’esperienza positiva sia di incomprensione e di danno. Ebbene il diritto nasce nel tentativo di governare e di rendere accettabile quella condizione di incertezza, ed esiste per garantire la pacifica convivenza. Esso promette certezza alle relazioni umane ma è evidentemente soggetto al fallimento, perché ogni norma può essere liberamente violata. La trama delle relazioni umane e fraterne che ci connotano e danno vita alla trama delle comunità, sono il sostrato dell’ordinamento giuridico. Tuttavia il diritto ha un rapporto ambiguo verso il legame sociale perché se da un lato lo cerca, lo alimenta, lo determina, dall’altro lato ne diffida perché sa del rischio a cui è esposta la relazione. Il diritto si appoggia e valorizza le varie forme della socialità e della fraternità ma al tempo stesso ne sa prendere le distanze».

Dopo questa premessa, il prof. D’Andrea è passato ad analizzare le declinazioni concrete di questo principio nel nostro ordinamento. Scorrendo la Costituzione italiana – ha precisato il docente – ci si accorge che la socialità e la relazionalità sono ben presenti e che la fraternità viene fuori come anima del tessuto costituzionale. Nei primi articoli – i principi fondamentali che definiscono il volto dell’ordinamento – il tessuto sociale affiora nella sua evidenza. L’articolo 2, in particolare, afferma che la Repubblica riconosce e garantisce i diritti individuali dell’uomo sia come singolo sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità. Questa formula – che nasce in casa cattolica – è un chiaro esempio di come l’ordinamento protegge e valorizza la rete di relazioni, ovvero le formazioni sociali, in cui vive l’uomo. Richiedendo a ciascuno di adempiere ai propri doveri inderogabili di solidarietà economica, politica e sociale. Questo articolo guarda, quindi, alla solidarietà degli uomini tra di loro, nelle relazioni orizzontali o paritarie. Dopo aver  ribadito l’uguaglianza degli uomini (si potrebbe dire in quanto fratelli), l’art.3 garantisce l’impegno dello Stato a favore della crescita di ciascuno: tale disposizione può essere letta come una forma di solidarietà verticale. In altre parole, l’intervento pubblico che mette a disposizione prestazioni e servizi per realizzare degli interessi è paragonabile all’intervento del “padre” che si prende cura dei figli. Senza dimenticare che anche lo Stato e le istituzioni sono espressione di solidarietà fraterna, poiché rappresentano la comunità politica, comunità di uguali intessuta di relazioni fraterne. Inoltre l’ordinamento, valorizzando la rete di relazioni nella costruzione del sistema, non dimentica le diverse realtà territoriali, ovvero i comuni, le province, le regioni, che hanno caratteristiche e peculiarità differenti (vedi art.5). Nella nostra Costituzione emerge dunque la volontà di dare rilievo ai fenomeni relazionali e sociali che generano fraternità e diventano preziosi, siano essi culturali, religiosi, o di solidarietà universale. Su quest’ultimo punto l’art.11 potrebbe definirsi come una proiezione internazionale della fraternità, laddove il nostro Paese sceglie di limitare parte della propria sovranità per promuovere la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Il principio di fraternità conosce, inoltre, un’altra forma concreta, un modo in cui viene declinato giuridicamente e politicamente, ed è la sussidiarietà. Attraverso questo principio è la fraternità stessa che entra nell’ordinamento, precisamente tramite l’art.118 della Costituzione. L’idea di fondo della sussidiarietà – ha chiarito D’Andrea – è che i vari livelli sociali si attivino solo se il singolo non è capace di provvedere a se stesso. La socialità deve intervenire solo quando il singolo non ce la fa, altrimenti vale la regola della non ingerenza. E anche nei rapporti tra livelli sociali questo criterio deve essere mantenuto fermo: il livello sociale più alto interviene se quello più basso non può garantire la giusta risposta ai bisogni. La logica della sussidiarietà infatti è basata sulla valorizzazione dell’apporto di ciascuno: l’essere umano è ritenuto una risorsa preziosa, la prima risorsa di cui si dispone per risolvere i problemi della convivenza. Il contributo di tutti e di ciascuno è quindi indispensabile, perché è il primo mattone nella costruzione dell’edificio comune.

La sussidiarietà, quindi, vive di un delicato equilibrio tra il rispetto della libertà e autonomia di ciascuno e dei diversi gruppi sociali, e il dovere solidale dell’intervento che esprime la relazione di sussidio e di supporto. Questo principio, inoltre, è un modo di declinare il rispetto per le individualità e le reti di relazioni che esse generano, plasmano, animano. Esso infatti vuole che l’intervento paterno o fraterno delle istituzioni sia orientato al sostegno dell’individuo, alla sua autonoma capacità di provvedere a se stesso. E per questo resta ben lungi da certe degenerazioni dell’intervento solidarista istituzionale, come lo sono il clientelismo e il conseguente parassitismo.

Vittoria Modafferi