“I rimedi alla corruzione amministrativa”

Non sarà la panacea contro tutti i mali nella pubblica amministrazione, ma è un valido strumento per contenere certi effetti distorsivi. L’istituto della partecipazione alla vita degli enti locali e al procedimento amministrativo è certamente un fattore positivo che va rafforzato. Ne è convinto Francesco Manganaro – docente di diritto amministrativo all’Università Mediterranea – che ha relazionato sul tema della partecipazione e della corruzione nella pubblica amministrazione all’Istituto di formazione politica “Mons. Lanza”.

Il 1990 – ha esordito il docente – è l’anno che segna una svolta a proposito della partecipazione. Vengono infatti emanate due leggi fondamentali: la legge n°142 che riforma gli enti locali, e la n°241 sul procedimento amministrativo. La nuova normativa sugli enti locali attribuisce a comuni e province un’autonomia che non avevano mai avuto. Il sistema vigente fino a quel momento era di rigido accentramento piramidale, e prevedeva il controllo degli atti dell’ente locale da parte dell’ente sovraordinato. Così il prefetto, in qualità di rappresentante del governo, poteva  annullare gli atti dei comuni e delle province e scioglierne gli organi. Solo con la legge costituzione n°3 del 2001, che modifica il titolo V della Costituzione, cambiano i rapporti tra centro e periferia e soprattutto si aboliscono i controlli esterni sugli enti locali, a vantaggio della loro autonomia.  La legge n°142/1990 frattanto aveva consentito ai comuni di emanare un proprio statuto – definito la piccola costituzione dei comuni – che stabilisce le norme fondamentali per la loro organizzazione. In questo modo l’ente locale gode di autonomia normativa (avendo la facoltà di dotarsi di una disciplina propria con la quale regolare la propria vita) e organizzativa (perché può gestire da sé i propri uffici), ma non ha ancora una vera autonomia finanziaria. Problema, questo, che non viene risolto nemmeno dalla riforma dell’art. 119 della Costituzione, che porta avanti l’idea di attribuire risorse agli enti locali in senso autonomistico (federalismo fiscale). Idea che, se portata all’estremo, si trasforma in  autonomismo “egoistico”, non prevedendo un fondo perequativo tra territori con economia differenziata, e rischia così di lasciare indietro i più poveri.

Tra il  2009 e il 2011, sulla scorta di queste posizioni più estremiste, vengono emanati otto decreti legislativi per portare a compimento il percorso sul federalismo amministrativo e fiscale (tra cui il decreto sul c.d. “costo standard”). Ma questo progetto trova un muro nella inaspettata crisi economica che comporta tagli alla spesa pubblica e una riduzione della spesa degli enti locali. Ciò che il legislatore aveva pensato circa una maggiore autonomia degli enti periferici sbatte contro il rischio di fallimento, di fronte al quale si deve drasticamente tagliare il finanziamento agli enti locali. Il sistema ridiventa così centralizzato: se gli enti locali non hanno risorse, non possono gestirsi autonomamente.

Circa la questione dei controlli sugli atti – ha  evidenziato il prof. Manganaro – oggi ogni ente può autonomamente crearsi un suo sistema interno, per esempio nominando un collegio di revisori o dei gruppi di valutazione. Tuttavia, queste figure e questi sistemi non hanno ben funzionato, perché sono nominati da un organo politico al quale devono in qualche modo rispondere. Inoltre, ogni controllo non è mai solo di legittimità ma ha un livello di discrezionalità, per cui chi detiene il potere di controllo ha la decisione in mano,  potendo annullare l’atto. Ma un’altra legge fondamentale è intervenuta a modificare la vita degli enti locali. Si tratta della legge 241/1990 che consente la partecipazione dei cittadini al procedimento amministrativo. Il destinatario del provvedimento o i titolari degli interessi diffusi possono cioè chiedere di entrare negli atti dell’amministrazione e partecipare al procedimento. Questa è una grande novità, perché i cittadini hanno l’opportunità di partecipare non solo dopo che l’amministrazione ha deciso bensì durante la preparazione dell’atto.

In questa nuova idea della partecipazione – ha ancora chiarito Manganaro – confluiscono le esigenze di garanzia sia dell’interesse pubblico sia degli interessi dei privati. La novità di questa legge sta nel fatto che la partecipazione fa sì che la forza dei vari interessi si palesi, non resti nascosta. E questi principi sembrano valere ancora di più in momenti di crisi come quello attuale, quando l’esigenza di partecipazione, di trasparenza e di controllo si rafforza. La partecipazione, inoltre, è uno strumento che dovrebbe limitare anche il problema della corruzione, reato collusivo che difficilmente può essere scoperto, se uno dei soggetti interessati non confessa.

Stando all’ultima relazione della Corte dei Conti i danni erariali legati alla corruzione nella pubblica amministrazione ammontano a circa 60 milioni. Inoltre,  dal 2004 al 2010 sono stati celebrati circa 2600 processi l’anno per casi di corruzione, e la stessa percezione della corruzione da parte dei cittadini è molto alta. L’Italia, aderendo al GRECO – un gruppo di Stati contro la corruzione – è stata sottoposta alla valutazione di questo organismo che ha stilato un rapporto contenente delle raccomandazioni per rafforzare l’impianto complessivo per la prevenzione della corruzione. Tra questi punti i più rilevanti sono: l’accesso alle informazioni e ai documenti, l’informatizzazione, la trasparenza, gli standard etici dei membri del governo, la disciplina dei conflitti di interesse tra rappresentanti del governo.

I rimedi alla corruzione, quindi, sono ben lungi dallo smantellamento degli enti pubblici auspicato da più parti, ma che sarebbe del tutto inutile.

 

Vittoria Modafferi