Il secondo incontro annuale della Cattedra del dialogo ha avuto per tema la “diaspora” calabrese, con relatori il dott. Roberto Nicolò, dirigente del Ministero Economia e Finanza, e il dott. Giorgio Marcello, ricercatore di Sociologia generale dell’Università della Calabria.
Il termine diaspora, che deriva dal greco (disseminare), richiama la dispersione di un popolo. Anche se forse è eccessivo nel nostro caso, certo milioni di calabresi sono stati costretti a migrazioni forzate al Nord e un pò in tutto il mondo, alla disperata ricerca di lavoro.
Analizzando la situazione calabrese il dott. Nicolò ha rilevato come la Regione presenti un progressivo calo demografico con conseguente aumento del tasso d’invecchiamento della popolazione (dato che impatta sul sistema sociale, creando anche problemi di sostenibilità economica dei sistemi pensionistici e sanitari), mentre perdura un’economia di assistenza che rischia di divenire cronica e parassitaria. Per questo è necessario innanzitutto ridurre la dipendenza dall’esterno, sia economica che culturale ed attivarsi aprendosi allo scambio di idee.
Dal 2009 è in aumento l’emigrazione dei giovani all’estero, alla ricerca di nuove opportunità. La mobilità per motivi di lavoro – che purtroppo è territoriale oltre che sociale, e ormai stabile – nel lungo periodo può creare squilibri permanenti nelle società. I migranti, inoltre, spesso si disaffezionano alle vicende sociali e politiche del paese d’origine.
Probabilmente la globalizzazione porterà a ridurre l’occupazione e si porrà il problema di masse di disoccupati o sottoccupati, per i quali bisognerà predisporre adeguate misure (ammortizzatori sociali, reddito minimo garantito..).
Il dott. Marcello ha ricordato che nelle Sacre Scritture (Mosè, Esodo) l’itineranza non è un problema ma una condizione: l’essere umano è considerato ontologicamente come “ospite”.
Il fenomeno migratorio, secondo il ricercatore, è globale e si collega direttamente al tema delle disuguaglianze: in Italia, e soprattutto in Calabria che ne è la Regione più povera, le disuguaglianze sono un effetto della crisi simultanea delle principali forme di regolazione sociale, cioè il lavoro, la famiglia e le politiche di protezione.
Il ricercatore ha ricordato molti dati statistici sulla debolezza strutturale del Sud. Per esempio, meno del 10% dei Comuni calabresi è dotato di un servizio sociale. Il divario tra sud e nord è prima sociale che economico, perché nel meridione sono ancora a rischio i servizi essenziali, come sanità e istruzione. Basti pensare che ogni anno un milione di italiani si spostano dal sud al Nord per motivi di salute, con una spesa annua di circa 4 miliardi di euro.
Fare i conti con l’itineranza dei calabresi vuol dire prendere coscienza delle situazioni di disuguaglianza, come atto politico.
Per riuscire ad avere le medesime opportunità, sarebbe utile finanziare in Calabria il sistema di protezione sociale, modernizzando l’apparato di servizi alla persona e creando lavoro sociale. Occorrerebbe, inoltre, rafforzare tutto il sistema formativo.
Infine il ricercatore ha ribadito la necessità di rivedere gli stili di vita e di consumo, imparando dalla povertà, perché non è più concepibile l’idea di sviluppo infinito.
Stefania Giordano